martedì 25 luglio 2017

San GIOVANNI CRISOSTOMO - COMMENTO AL VANGELO DI S. MATTEO - Discorso sessantacinquesimo – Mt. 20, 17-28



Nell’ascendere a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici discepoli e, strada facendo, disse loro: «Ecco, saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà dato nelle mani dei gran sacerdoti e degli scribi. Essi lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai gentili per farlo schernire, flagellare e crocifiggere; e il terzo giorno risorgerà”.

1. –Gesù, venendo dalla Galilea, non si dirige subito a Gerusalemme. Compie prima molti miracoli, chiude la bocca ai farisei, parla ai suoi discepoli della povertà, dicendo: “Se vuoi essere perfetto, vendi quanto hai”, della verginità: “Chi è capace d’intendere, intenda”, dell’umiltà: “Se voi non vi convertite e non diventate come i fanciulli, non entrerete nel regno dei cieli”, della ricompensa in questa vita: “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, riceverà il centuplo in questo mondo”, e delle ricompense nell’aldilà: “e avrà in eredità la vita eterna”.
Solo dopo aver dato tutti questi insegnamenti, si avvia verso Gerusalemme e, prima di giungervi, parla ancora ai suoi discepoli della passione. È naturale, infatti, che gli apostoli, non volendo che ciò accada, si siano scordati di essa; perciò Gesù richiama continuamente alla loro memoria l’evento allo scopo di preparare e di esercitare, con questo reiterato richiamo, il loro spirito, e consolare la loro tristezza. Necessariamente parla loro “in privato”, in quanto non conviene che la notizia di tali eventi si divulghi tra la moltitudine e se ne parli troppo chiaramente. Nessun profitto deriverebbe da tale preannuncio. Se gli stessi apostoli ne restano turbati, tanto più si spaventerebbe la folla. Voi mi chiederete: Ma la passione non è stata mai predetta al popolo? Vi rispondo che, per la verità, è stata predetta, ma in modo oscuro, allorché disse: “Disfate questo tempio e io in tre giorni lo riedificherò”, oppure quando dichiarò: “Questa generazione chiede un prodigio, ma non le sarà dato altro che il segno del profeta Giona”, o, quando annunziò: “Ancora per poco tempo sono con voi; mi cercherete e non mi troverete”.
Ma agli apostoli non parla oscuramente: come parlava loro di altri argomenti con maggior chiarezza che alla folla, nello stesso modo parla loro anche di questo. Voi potreste chiedermi allora a quale scopo egli accenna al popolo della passione in termini così velati che esso non è in grado d’intendere le sue parole. Gesù si comporta così perché in seguito il popolo si ricordi che egli è andato volontariamente alla passione, avendo piena consapevolezza e non essendo stato costretto da inevitabile necessità. Ai discepoli, al contrario, predice la sua passione non per quest’unica ragione, ma perché, come già vi dissi, fortificati nell’attesa, sopportino più facilmente l’idea della sua morte, ed essa non li turbi e li atterrisca come accadrebbe, invece, se la passione li cogliesse di sorpresa, non essendo preventivamente informati. Perciò si limita dapprima ad annunziar loro la sua morte; poi, dopo averli abituati a quest’idea e averli esercitati in essa, rivela anche tutte le altre circostanze, dicendo che sarà in mano ai gentili perché lo scherniscano, lo flagellino. Dice loro queste cose affinché, quando vedranno sopravvenire simili sciagure, attendano anche la risurrezione preannunziata insieme. E giustamente merita d’essere creduto anche nella predizione della risurrezione, proprio perché non nasconde le sue sofferenze, neppure quelle che appaiono le più ignominiose.


Considerate anche, vi prego, la sapienza con cui Cristo sceglie l’occasione per parlare di quest’evento ai suoi discepoli. Non lo rivela all’inizio, per non turbarli. Neppure rimanda l’annunzio al momento stesso della passione, nel timore che anche questo possa eccessivamente atterrirli. Ma quando essi hanno sufficiente esperienza del suo potere, quando li ha rassicurati con grandi promesse sulla vita eterna, allora introduce l’annuncio della sua passione, una, due e più volte, alternandolo ai miracoli e all’insegnamento. Un altro evangelista osserva che Gesù conferma le sue parole sulla passione con la testimonianza dei profeti, mentre un altro rileva che gli apostoli non comprendono le sue parole, che il suo discorso è oscuro per loro e che essi lo seguono con timore. Se dunque essi non comprendono quanto Gesù rivela, - voi mi direte, - il frutto della sua predizione è nullo. Se non capiscono ciò che viene loro detto, non possono attenderlo e, perciò, non si esercitano nell’attesa. Io aggiungo anche un’altra osservazione imbarazzante: se gli apostoli non capiscono le parole di Gesù sulla passione, come possono rattristarsene? Sta di fatto, però, che uno degli evangelisti dice esplicitamente che essi si rattristano a udire tali discorsi. Com’è possibile rattristarsi per una cosa che non si conosce? E come può Pietro esclamare, rivolto a Gesù: “Non sia mai, Signore! Questo non ti avverrà”? Che possiamo rispondere per risolvere questa difficoltà? Possiamo dire che gli apostoli capiscono che il Signore morirà, anche se non comprendono ancora chiaramente il mistero della redenzione, né quello della risurrezione e i benefici effetti che seguiranno. Proprio questo è ancora nascosto alla mente dei discepoli, e tale è il motivo della loro tristezza. Probabilmente sono già loro noti casi di uomini morti e risuscitati per l’intervento di altri: mai, invece, hanno visto un morto risuscitare sé stesso, e risuscitare in tal modo da non morire più. Sebbene Gesù parli loro sovente di questo argomento, essi non riescono a comprenderlo. Neppure intendono che genere di morte sarà quella del Signore, né come i suoi nemici l’uccideranno. Ecco perché i discepoli seguono Gesù pieni di timore.
2. – Le ripetute assicurazioni che Gesù ha dato a proposito della sua risurrezione, non riescono a dar loro coraggio. Oltre alla morte, li spaventa e li turba soprattutto sentir parlare di insulti, di scherni, di flagellazione e di altre simili pene che l’accompagneranno. Il pensiero dei miracoli che Gesù ha operati, il ricordo degli indemoniati guariti, dei morti risuscitati, e di tutti gli altri prodigi, sembrano loro inconciliabili con le sofferenze di cui egli parla ora, e si chiedono perplessi come potrà subire tali oltraggi colui che è capace di compiere simili prodigi. Per questo si trovano in uno stato di grande confusione e incertezza: ora credono alle sue parole, ora non credono, e non riescono a capire quanto egli dice.
A tal punto i discepoli non comprendono le parole i Gesù sulla sua passione, che i figli di Zebedeo si avvicinano al Signore subito dopo e gli parlano dei primi posti: “Vogliamo” - essi dicono - “che uno di noi si segga alla tua destra e l’altro alla tua sinistra”. Come mai l’evangelista Matteo riferisce che fu la madre di Giacomo e di Giovanni ad avvicinarsi a Gesù, rivolgendogli questa richiesta? È presumibile che siano vere l’una e l’altra versione: cioè che Giacomo e Giovanni prendano con loro la madre per dare maggiore efficacia alla propria richiesta ed esercitare maggiore pressione sul Salvatore. A riprova che sono in realtà i due fratelli ad avanzare la richiesta per bocca della madre, perché evidentemente si vergognano a farla personalmente, sta il fatto che Cristo rivolge a loro la sua risposta. Vediamo ora ciò che chiedono questi due discepoli al Maestro, con quale intenzione lo chiedono e perché gli rivolgono tale preghiera. Come mai giungono a questo? Da tempo Giovanni e Giacomo si accorgono di essere onorati più degli altri e, quindi, credono e sperano che il Maestro accondiscenda alla loro domanda. Ma, in definitiva, che è ciò che chiedono?Ascolta l’altro evangelista che ci chiarisce la questione. Essendo vicini a Gerusalemme e credendo che il regno di Dio stia ormai per giungere, i due discepoli rivolgono a Cristo la loro richiesta. Immaginano che il regno di Dio sia alle porte, che si tratti di un regno visibile, terreno e che, ottenendo ciò che chiedono, non avranno più da soffrire in avvenire. Non domandano infatti il regno per se stesso, ma per sfuggire alle difficoltà della vita. Ecco perché Cristo, nella sua risposta, scaccia anzitutto dal loro spirito simili ragionamenti insegnando loro a sopportare i pericoli, i più duri supplizi e la morte violenta. Potete voi bere il calice che io sto per bere?. – chiede Gesù.
Che nessuno si stupisca constatando tanta imperfezione negli apostoli. Il mistero della croce non si è ancora compiuto e la grazia dello Spirito Santo non è stata data loro. Se tu vuoi conoscere la loro virtù, considera quanto hanno compiuto in seguito, e, in realtà, costaterai che essi si sono elevati al di sopra di ogni passione. Il Signore scopre ora i loro difetti, affinché tu possa ammirare il mutamento che la grazia ha operato in essi. Appare chiaro, infatti, da tale circostanza che essi non chiedono niente di spirituale a Cristo, e che non hanno idea del regno dei cieli.
Consideriamo ora come questi due discepoli si accostano al Maestro e che cosa gli chiedono: “Vogliamo che tu faccia per noi quanto ti chiederemo”. E Cristo domanda: “Che volete?”. Egli non ignora certo ciò che essi domandano, ma vuol costringerli a rispondere e a scoprire la piaga per poter in tal modo applicare la medicina adatta. Allora, arrossendo e vergognandosi di questa richiesta fatta sotto la spinta di una passione umana, preso Gesù in disparte dagli altri discepoli, lo interrogano. “Si avvicinarono a lui” dice Marco, per non essere uditi dagli altri discepoli, e gli chiedono ciò che vogliono. Secondo me, per aver sentito dire da Gesù: “Sederete anche voi sopra dodici troni”, essi chiedono di ottenere la preminenza di questi seggi. Sanno che Gesù li preferisce agli altri, ma temono Pietro. Ecco perché gli suggeriscono: “Di’ che uno di noi sieda alla tua destra e l’altro alla tua sinistra”, sollecitandolo con quell’imperativo “di’”. Che cosa risponde il Signore? Volendo far loro comprendere che quanto chiedono non è affatto una cosa spirituale e che, se sapessero ciò che chiedono, non lo domanderebbero, ribatte: “Non sapete quel che chiedete”, cioè non ne conoscete il valore, né la grandezza. Voi non sapete quanto questa dignità è più alta di tutte le potenze del cielo. E aggiunge: “Potete voi bere il calice che devo bere io e ricevere il battesimo con cui io devo essere battezzato?”. Di colpo si allontana dalla loro vana pretesa, parlando loro di cose contrarie a quelle che essi esigono. Voi – sembra dir loro – mi parlate di onori e di dignità; io vi parlo, invece, di battaglie e di sudori. Non è questo il momento dei premi e delle ricompense, né la mia gloria si manifesta ora. Il presente è tempo di morte violenta, di guerra e di pericoli. Osservate d’altra parte come, rispondendo loro con un’altra domanda, li incita e li attrae. Non chiede se sono capaci di morire, di versare il loro sangue, ma dice: “potete voi bere il calice” e, per animarli, aggiunge “che devo bere io?”, in modo da renderli, con la partecipazione alle sue sofferenze, più coraggiosi. Chiama la sua passione “battesimo”, per intendere la grande purificazione che da essa verrà alla terra intera. I due discepoli rispondono arditamente: “Possiamo!”. Trasportati dal loro fervore, glielo promettono immediatamente, senza sapere ora ciò che dicono, con la speranza, tuttavia, che la loro richiesta venga soddisfatta. E Gesù risponde: “Voi, sì, berrete il calice che io bevo, e col battesimo con cui devo essere battezzato, sarete battezzati”. Preannuncia loro grandi beni: Voi, cioè, sarete degni di subire il martirio e soffrirete come me; finirete la vita con una morte violenta e avrete parte con me in questi dolori.
Sedere, però, alla mia destra e alla mia sinistra non spetta a me concederlo, ma è per coloro a cui è stato preparato dal padre mio.
3. – Dopo aver innalzato l’anima dei due discepoli, dopo averli fortificati contro la tristezza, allora corregge la loro richiesta. che significato hanno le parole dette dal Signore? A questo proposito molti si pongono due interrogativi: primo, se è stato davvero riservato per qualcuno la gloria di sedere alla sua destra; secondo, se chi è Signore di tutto, non è padrone di concedere tale onore a colui al quale è stato riservato. Che vogliono dire le parole di Gesù? Se risolviamo la prima questione, anche la seconda risulterà chiara. Quanto alla prima questione, è certo intanto che nessuno ha diritto di sedere alla destra o alla sinistra di Dio: quel trono è inaccessibile a tutti, non solo, io dico, agli uomini, ai snti, agli apostoli, ma anche agli angeli e agli arcangeli e a tutte le potenze celesti; Paolo lo designa come privilegio dell’Unigenito, quando dice: “Ha forse detto Dio a qualcuno degli angeli: Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi?”; e ancora, riferendosi agli angeli, dice: “Colui che fa gli angeli suoi messaggeri”, mentre quando parla del Figlio, dichiara: “Il tuo trono, o Dio, durerà in eterno”. Quanto alla seconda questione, come può Gesù dire che non spetta a lui concedere di sedere alla sua destra o alla sua sinistra? Forse che questi posti saranno occupati da altri? Niente affatto. Cristo risponde ai suoi discepoli adattandosi al loro modo di pensare e condiscendendo alla loro imperfezione. I discepoli non sanno nulla di quell’altissimo trono e di quel glorioso seggio alla destra del Padre, dato che ignorano persino altre questioni assai meno elevate, di cui sovente ha loro parlato. Ma lo scopo dei due discepoli è quello di ottenere il primato rispetto agli altri apostoli, nessuno dei quali dovrebbe precederli al lato di Cristo. Come già ho detto, essi, dopo aver udito il Maestro parlare dei dodici troni, pretendono per sé i due primi, non sapendo che cosa Gesù ha inteso dire promettendo tali seggi. E ciò che il Signore intende è questo: È vero che voi morrete per me e verserete il vostro sangue per la predicazione del mio Vangelo; è vero che avrete parte alla mia passione, ma questo non basta per farvi ottenere il primato e occupare i primi posti. Perché se verrà qualcuno che, oltre al martirio, possederà anche tutte le altre virtù in grado più elevato di voi, non crediate che io, perché ora vi amo e vi preferisco agli altri, vi dia il primato, rimandando indietro colui che è proclamato giusto dalle sue stesse opere. Non dice però questa verità chiaramente, per non affliggerli troppo. Tuttavia, velatamente la fa comprendere quando risponde loro: “Voi, sì, berrete il mio calice e con il battesimo con cui io devo essere battezzato, sarete battezzati”; “sedere però alla mia destra o alla mia sinistra, non spetta a me concederlo, ma è per coloro a cui è stato preparato dal Padre mio”. E per chi è preparato simile posto? Per coloro che sono stati capaci di acquistare gloria con le loro opere. D’altra parte egli non dice: - Non spetta a me il concederlo, ma al Padre mio -, perché nessuno dica che egli è debole e incapace di ricompensarli. Ma come ha detto allora? “Non spetta a me il concederlo, ma è per coloro a cui è stato preparato”. Per capire meglio ciò che io dico, proviamolo con un esempio e immaginiamo che tra tutti i campioni di uno stadio ve ne siano due conosciuti personalmente dal direttore delle gare. Costoro, confidando nella sua amicizia e benevolenza, vanno da lui e gli dicono di proclamarli vincitori e di dar loro il premio. Il direttore delle gare risponderà che una cosa simile non dipende da lui, ma che il premio è riservato per coloro che lo avranno meritato con le loro fatiche e con i loro sudori. Potremo accusare di debolezza il direttore delle gare? No, assolutamente; ma diremo che questo è una riprova della sua giustizia e imparzialità. Come non possiamo affermare che questo direttore di gara è impotente a dare il premio, ma, al contrario, diciamo che egli non vuole infrangere la legge delle gare né turbare l’ordine della giustizia, così io direi che Cristo ha dato tale risposta ai due discepoli per incitarli a fondare la speranza della propria gloria, oltre che nella grazia di Dio, nella realizzazione di opere buone, personali. Questo vuole intendere quando dichiara che quel posto è “per coloro a cui è stato preparato dal Padre mio”. Se si presenteranno altri migliori di voi? se compiranno azioni più grandi delle vostre? Credete forse, per il fatto di essere miei discepoli, di ottenere i primi posti, se non vi mostrate degni della mia elezione? Risulta inoltre evidente che egli sia il Signore di tutto, dal fatto che possiede ogni potere di giudicare, e testimonia tale potere con le parole che rivolge a Pietro: “A te io darò le chiavi del regno dei cieli”. E Paolo conferma questa verità, affermando: “Oramai non mi resta che ricevere la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi darà in quel giorno; e non soltanto a me, ma anche a tutti quelli che avranno atteso con amore la sua manifestazione”. Manifestazione di Cristo è la sua prima venuta. E che nessuno sarà primo davanti a Paolo, è a tutti evidente. Non c’è da stupirsi se Gesù parla con qualche oscurità in questa circostanza. Egli vuole rinviare prudentemente i due discepoli, in modo che non insistano, senza motivo, nella loro vana pretesa di essere i primi – i loro desideri, infatti, sono ancora tanto umani e terreni – ed evita di rattristarli. Con quell’apparente oscurità ottiene questi due intenti.
Allora i dieci, udito ciò, s’indignarono contro i due fratelli. Questa parola “allora”indica chiaramente il momento in cui Gesù rimprovera i due discepoli. Finché la preferenza è decretata da Cristo, gli altri non mostrano alcuna indignazione e, pur vedendo che essi sono onorati più di tutti, volentieri li accettano e tacciono per timore e rispetto del Maestro; anche se hanno in cuor loro qualche amarezza, non osano manifestarla. Quando Pietro ha pagato il tributo delle due dramme insieme a Cristo, pur provando qualche risentimento umano, non si sono irritati, ma si sono limitati a chiedere al Signore: “Chi, dunque, è il più grande?”. Ma siccome in questo caso vedono i due fratelli farsi avanti e chiedere il primato, gli altri apostoli s’indignano; non mormorano quando Giacomo e Giovanni rivolgono a Gesù la loro richiesta, ma quando Gesù stesso li rimprovera, e dichiara che non otterranno l’onore dei primi posti se non ne diverranno degni.
4. – Notate come tutti gli apostoli siano ancora imperfetti? Sia i due che vogliono innalzarsi sopra i dieci, sia gli altri che hanno invidia di loro. Ma, come già dissi, guardiamo come si comportano in seguito e li vedremo esenti da tutte queste passioni. Allora lo stesso Giovanni, che ora si fa innanzi per chiedere di sedere a fianco di Cristo, cederà in ogni circostanza il primato a Pietro, sia nella predicazione sia nell’operar miracoli, come appare dagli Atti degli Apostoli. E non nasconderà i suoi meriti, ma riporterà la testimonianza resa da Pietro a Cristo quando gli altri apostoli tacciono, e riferirà dell’ingresso di Pietro nel sepolcro di Gesù anteponendoli sempre a sé. E siccome si troveranno insieme, ad un certo momento della passione, Giovanni, per evitare il proprio elogio, dirà semplicemente: “Quel discepolo era conosciuto dal pontefice”. Quanto a Giacomo, egli non sopravvivrà per molto tempo. Infatti, poco dopo la discesa dello Spirito Santo, tale sarà il suo fervore che, lasciato da parte ogni interesse terreno, perverrà ad una virtù così elevata da essere subito ucciso. Ecco come sono divenuti grandi in seguito tutti gli apostoli; allora, invece, essi si indignarono.
Sentiamo ora cosa dice Gesù: Chiamatili a sé, disse: “Voi sapete che i capi delle nazioni le signoreggiano e i grandi le dominano”. Siccome essi sono turbati e inaspriti per la richiesta dei due fratelli, prima ancora di cominciare a parlare, cerca di calmarli chiamandoli a sé. I due fratelli, staccatisi dal gruppo dei dieci, s’erano avvicinati a Gesù parlandogli in privato; ora Gesù chiama accanto a sé gli altri apostoli: con questo atto e per il fatto di sminuire ciò che quelli avevano detto e di esporre i loro desideri agli altri, attenua la passione di questi e di quelli. Ma si serve qui, per indurli ad essere umili, di un mezzo ben diverso da quello di cui si era servito prima, quando aveva messo un fanciullo in mezzo a loro e aveva ordinato di imitare la sua semplicità e la sua umiltà. Ora li ammonisce più energicamente con un esempio del tutto differente: “i capi delle nazioni le signoreggiano e i grandi le dominano”. Non sarà così tra voi: ma chi tra di voi vuol diventare grande, sia servo di tutti; e chi tra di voi vuole essere primo, sia l’ultimo di tutti. Con questo paragone Gesù fa capire che cercare di ottenere il primato è un desiderio degno dei pagani. Questa passione è infatti tirannica, e continuamente molesta i grandi uomini. Per questo essa esige un colpo assai duro; il Signore stesso li ferisce nel più profondo, confondendo con il paragone dei pagani l’ambizione della loro anima; in tal modo elimina l’invidia dei dieci apostoli e l’ambizione dei due fratelli dicendo pressappoco: Non irritatevi come se vi riteneste offesi. Coloro che ricercano i primi posti fanno a se medesimi molto più male di quanto ne possano fare agli altri, e si disonorano: per la loro superba ambizione infatti essi si pongono fra gli ultimi uomini. Non avviene tra di noi come tra i pagani. I loro capi li dominano; per me, invece, l’ultimo è il primo. E che questo non l’affermo semplicemente, puoi averne la prova da ciò che io faccio e subisco. Io, anzi, ho fatto qualcosa di più. Essendo re delle potenze celesti, ho voluto farmi uomo e volontariamente accetto il disprezzo, gli oltraggi; né mi limito a questo, ma vado sino alla morte.
Prosegue infatti dicendo: Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per la redenzione di molti. Non mi sono contentato di servire, ma ho dato la mia vita “per la redenzione”. Di chi? Dei miei nemici. Quando voi vi umiliate, è per voi stessi che lo fate. Ma quando io mi sono umiliato, l’ho fatto per voi. Non temete, quindi, come se vi togliessero l’onore.
Non sarete mai capaci, per quanto vi umiliate, di abbassarvi quanto il vostro Signore. Tuttavia, la sua umiliazione è divenuta l’elevazione di tutti ed ha fatto risplendere la sua gloria. Prima che si facesse uomo, era conosciuto solo dagli angeli. Dopo aver assunto la nostra natura ed essere morto sulla croce, non soltanto non ha perduto la sua gloria primitiva, ma a questa ha aggiunto la gloria che gli proveniva dal fatto di essere conosciuto da tutta la terra. Non temete, quindi, di essere privati del vostro onore umiliandovi. Così facendo la vostra gloria si eleverà e crescerà ancor più. L’umiltà è la porta del regno. Cerchiamo piuttosto di non prendere la via contraria e di non finire col fare la guerra a noi stessi. Volendo apparire grandi noi non saremo grandi, ma i più disprezzati di tutti. Notate come Gesù esorti sempre gli uomini con motivazioni del tutto opposte, dando loro quanto desiderano. Ho già mostrato più volte questo suo modo di precedere; anche con gli avari e con gli ambiziosi si è comportato così. perché tu fai l’elemosina davanti agli uomini? per acquistare onore? Soffoca in te questo desiderio di gloria terrena, e otterrai ogni onore e gloria. Perché accumuli tanti tesori? per arricchirti? Smetti, dunque, di accumulare denaro, e sarai veramente ricco. Anche qui egli agisce nello stesso modo. Per qual motivo tu ami i primi posti? per essere al di sopra degli altri? Ebbene, scegli l’ultimo posto e otterrai il primo. Se vuoi esser grande, non cercare d’esser grande, e allora lo sarai veramente. Il desiderio d’essere grande è, in verità, di chi è piccolo.
5. – Vedete, dunque, come Gesù li allontana da tale debolezza mostrando che, con l’ambizione, non otterranno ciò che desiderano, mentre conseguiranno il loro scopo con l’umiltà: fuggano, perciò, questo vizio e pratichino questa virtù. Gesù ricorda qui i pagani per far vedere ai suoi discepoli quanto riprovevole sia il desiderio della preminenza e del comando. L’orgoglioso è necessariamente vile e meschino; l’umile, al contrario, è grande. La grandezza dell’umile è vera e legittima e non consiste soltanto nel nome e nell’apparenza. La grandezza esteriore dell’uomo proviene dalla deferenza che, per necessità o per timore, gli altri gli dimostrano; mentre la grandezza interiore dell’umile si avvicina a quella di Dio. Chi è grande in questo mondo resta sempre tale anche se nessuno l’ammira: mentre il superbo è il più disprezzato di tutti, anche se da tutti è servito. L’onore reso al superbo è forzato, e per questo facilmente svanisce, mentre l’onore che si rende all’umile è libero e spontaneo e perciò immutabile. Per questo noi ammiriamo i santi, perché, essendo superiori a tutti, si umiliarono più di tutti. Ecco perché fino ad oggi la loro grandezza perdura e neppure la morte ha potuto abbassare la loro grandezza. Se volete esaminiamo questo fatto con la ragione. Si dice che uno è grande, quando è alto di statura, o quando si trova in una posizione elevata; basso o piccolo, nei casi contrari. Vediamo un po’ chi si trova in queste condizioni, l’uomo vanaglorioso o l’uomo umile, e costateremo che non c’è niente che sia più a livello della terra dell’orgoglio, e niente di più elevato dell’umiltà. Il superbo vuol essere il primo di tutti e non ritiene nessuno degno di sé. Quanto più onore ottiene, tanto più ne desidera e pretende; non considera gli onori che ha già ricevuti. Disprezza gli uomini e, nello stesso tempo, pretende la loro stima. Si può trovare qualcosa di più insensato? Sembra proprio un enigma. Egli considera un nulla gli uomini e tuttavia pretende che lo onorino. Vedi come quest’uomo, volendo innalzarsi, cade e rimane a terra? Egli stesso afferma di ritenere zero gli altri a suo confronto: in questo consiste l’arroganza. Perché allora corri dietro a chi non è niente? Perché ricerchi la sua stima? Perché ti porti attorno una moltitudine di tali persone? Osserviamo, invece, l’umile, colui che è veramente alto. L’umile sa che cos’è l’uomo, ed è persuaso che l’uomo è grande. Ma siccome ritiene se stesso l’ultimo di tutti, perciò ritiene grande ogni onore che gli viene reso. Egli è conseguente con se stesso; sta sempre in alto e non cambia parere. Dato che considera grandi gli uomini, ritiene grandi i più piccoli atti di deferenza. Il superbo, al contrario, disprezza quanti lo onorano, ma stima gli onori che gli vengono tributati. L’umile, inoltre, non è schiavo di nessuna passione. Non è turbato dall’orgoglio, né posseduto dall’ira, né dilaniato dall’invidia e dalla gelosia. Cosa può esservi al mondo di più grande di un’anima libera da tali passioni? Il superbo, al contrario, è preda di tutte queste passioni: l’invidia, la gelosia, l’ira, turbano continuamente la sua anima; egli assomiglia a un verme che si gira e rigira nel fango. Chi è, dunque, il più grande di questi due? Colui che è al di sopra di ogni passione, o colui che ne è schiavo? Colui che teme e trema davanti ad esse, oppure colui che non si lascia mai attaccare da esse e le domina? Quale uccello diremo che vola più in alto: quello che si innalza al di sopra delle mani e delle reti del cacciatore, oppure quello che viene catturato senza che il cacciatore abbia bisogno della rete e che non riesce neppure a sollevarsi da terra e volare in aria? Tale è l’uomo ambizioso e orgoglioso. Ogni trappola lo prende facilmente, poiché egli striscia sempre a terra.
6. – Se vuoi, cerca la riprova di quanto dico considerando il demonio. Che vi è di più in basso di lui, dal momento che volle esaltarsi? E cos’è più grande ed elevato dell’uomo che si umilia? Il diavolo striscia a terra, ed è calpestato dal nostro tallone. Dice infatti Cristo che egli ha dato ai discepoli il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni. L’uomo umile sta in alto con gli angeli. Se vuoi trovare anche fra gli uomini una prova evidente di quanto dico, ricordati del barbaro che comanda un’armata tanto temibile, ma che ignora ciò che è evidente a tutti: non sa che una pietra è una pietra, e gli idoli sono idoli, e in tal modo si pone al di sotto delle pietre stesse con il culto che loro dedica. Gli umili, invece, che onorano Dio e gli sono fedeli, si elevano oltre il sole. V’è qualcosa più elevato di loro? Essi superano persino le potenze del cielo e, passando accanto agli angeli, si presentano davanti al trono stesso di Dio. Per comprendere, del resto, la meschinità dei superbi, ti prego di dirmi chi è più abbietto: colui che Dio aiuta, o colui che è combattuto da Dio? Non è chiaro che è quest’ultimo? Ascolta, quindi, ciò che la Scrittura dice degli umili e dei superbi: “Dio resiste ai superbi, e dà la sua grazia agli umili”. Ti chiedo ancora un’altra cosa; chi ti sembra più grande: colui che offre a Dio un sacrificio, oppure chi non ha alcuna familiarità o confidenza con Dio? E quale sacrificio offre l’umile? Senti che cosa dice David: “Sacrificio a Dio è uno spirito contrito; un cuore spezzato e umiliato, Dio non lo disprezzerà”. Vedi la purezza dell’uomo umile? Osserva ora quant’è impuro il superbo. “Impuro è agli occhi di Dio ogni uomo altezzoso”, dichiara la Scrittura. Oltre a tutto questo, Dio trova il suo riposo nell’umile. “Su chi getterò il mio sguardo, se non su chi è dolce e umile, e trema alle mie parole?
Il superbo striscia insieme al demonio e con lui subirà gli stessi tormenti. Questo vuol dire Paolo quando afferma che chi si gonfia d’orgoglio, cadrà nella stessa condanna del diavolo. Ma la cosa più straordinaria è che l’orgoglioso ottiene tutto l’opposto di quanto desidera. Egli pretende stima e onori, e raccoglie invece grandissimo disprezzo da tutti. La loro vanità rende ridicoli gli uomini ambiziosi e superbi; da tutti vengono aborriti e combattuti; sono facile preda dei loro avversari, pronti all’ira, impuri agli occhi di Dio. Chi è peggiore di costoro? Qui è il limite di ogni male e di ogni vizio. C’è invece qualcuno più amabile dell’uomo umile? chi più felice? Gli umili sono amati e prediletti da Dio; anche dagli uomini essi ottengono grandissimi onori e tutti li rispettano come fossero i loro padri, li considerano come fratelli, li hanno cari come la pupilla dei loro occhi.
Facciamoci dunque umili per diventare grandi. L’orgoglio infatti ci abbassa oltre ogni dire. È questa la passione che ha perduto il Faraone. Egli disse: “Non riconosco il Signore”, e così divenne più disprezzabile delle mosche, delle rane e delle cavallette; infine precipitò nel mare con armi e cavalieri. Abramo, al contrario, affermava: “Io sono terra e cenere”; perciò vinse innumerevoli barbari e, caduto nelle mani degli egiziani, riuscì a risalire da quella terra riportando una vittoria ancor più grande delle prece denti; praticando sempre la virtù, crebbe sempre più in grandezza e gloria. Per questo egli è celebrato ovunque; è questa virtù che gli ha valso il premio e la fama. Il Faraone, al contrario, è solo terra e cenere, o qualcos’altro di ancor più vile e disprezzabile. Niente Dio aborre tanto quanto la presunzione e l’orgoglio. sin dall’inizio, perciò, egli ha fatto di tutto per sradicare questa passione. A causa di essa noi siamo divenuti mortali e viviamo tra dolori e lamenti; per essa noi lavoriamo con fatica e sudore incessanti e con tribolazione. Per orgoglio infatti ha peccato il primo uomo, pretendendo di farsi uguale a Dio. Perciò non ha conservato ciò che aveva, ma ha perduto anche quello. Ecco l’effetto della superbia: non solo non aggiunge nulla di buono alla nostra vita, ma ci ruba anche quanto possediamo. L’umiltà, invece, produce l’effetto contrario: non solo non toglie nulla di quanto possediamo, ma aggiunge ciò che non abbiamo: Cerchiamo con tutte le nostre forze di acquistare questa virtù e di metterla in pratica, per essere felici in questa vita e ottenere la gloria eterna per la grazia e l’amore di Gesù Cristo, nostro Signore. A lui, insieme con il Padre e lo Spirito Santo, siano gloria e potere, ora e sempre e per i secoli dei secoli. Amen.


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