domenica 9 aprile 2017

La Passione di nostro Signore Gesù Cristo - Commento al Vangelo di S. Matteo - vol. ° 3 - San Giovanni Crisostomo




Mt. 26 , 17-25


Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: "Dove vuoi che ti prepariamo, per mangiare la Pasqua?".
Ed egli rispose: "Andate in città, da un tale, e ditegli: Il Maestro ti manda a dire: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli". I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. Mentre mangiavano disse: "In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà". Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: "Sono forse io, Signore?".
Ed egli rispose: "Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!".
Giuda, il traditore, disse: "Rabbì, sono forse io?". Gli rispose: "Tu l'hai detto".


L’evangelista chiama “primo giorno degli azzimi” il giorno che precede la festa degli azzimi. Gli ebrei, infatti, usano computare il giorno a partire dalla sera: e qui Matteo ricorda appunto il giorno nella sera del quale si deve celebrare la Pasqua. I discepoli, quindi, vanno da Gesù per parlargli il quinto giorno della settimana. Un altro evangelista lo definisce il giorno precedente la festa degli azzimi, volendo mettere in risalto il tempo in cui i discepoli si avvicinano a Cristo. L’evangelista Luca dice, invece, così: “Venne poi il giorno degli azzimi nel quale si doveva immolare la Pasqua”. Con le parole “venne” intende dire che il giorno è imminente, è alle porte, riferendosi evidentemente alla sera del dí precedente. I giudei, infatti, cominciavano la festa dalla sera. Ecco perché gli evangelisti aggiungono che in tal giorno si deve immolare la Pasqua.

I discepoli, perciò, chiedono a Gesù: Dove vuoi che ti prepariamo da mangiare la Pasqua? Sembra, da queste parole, che Gesù non abbia nessuna casa, né alcun luogo ove abitare; e io credo che neppure i discepoli ne abbiano, poiché, in caso contrario, inviterebbero il Maestro ad andare da loro. Sta di fatto che nemmeno essi possiedono un alloggio, avendo rinunciato a tutto. Ma perché – voi chiederete – il Salvatore celebra la Pasqua? La celebra per farci intendere che sino all’ultimo giorno della sua vita egli non è stato affatto nemico della legge. E come mai invia i suoi discepoli in casa di uno sconosciuto? Per far loro capire, con questo atto di sovrana autorità, che egli potrebbe evitare la passione, qualora lo volesse. Se, infatti, egli ha indotto, solo con le parole, un uomo sconosciuto a riceverli in casa sua, perché non potrebbe cambiare l’animo di coloro che vogliono crocifiggerlo, se non volesse subire la passione? Ora, Gesù si comporta nello stesso modo in cui ha agito col padrone dell’asina, quando rivolse queste parole ai discepoli: “Se qualcuno vi dirà qualcosa, ditegli: il Signore ne ha bisogno”. Così anche ora: “Il Maestro dice: da te faccio la Pasqua”. Ma io non mi meraviglio soltanto del fatto che quest’uomo accoglie in casa suo Cristo, ma perché, pur sapendo di suscitare contro di sé una violenta collera e una guerra senza quartiere, non tiene in alcun conto l’odio di tanti. Il Signore indica ai discepoli che non conoscono quest’uomo un segno di riconoscimento eguale a quello che il profeta diede a Saul, quando gli disse: “Troverai un uomo che sale portando un otre”. Gesù precisa che essi incontreranno un uomo “che porta una brocca d’acqua”.
Osservate un’altra prova del potere di Cristo. A quest’uomo egli non fa dire soltanto: “da te faccio la Pasqua”, ma pure: “il mio tempo è vicino”, volendo ricordare sempre la passione ai discepoli e, con questa continua predizione, esercitarli alla meditazione di tale avvenimento; e inoltre – come già vi ho spiegato – dimostrare a loro, all’uomo che si appresta ad accoglierlo in casa sua e, in generale, a tutti i giudei, che egli va volontariamente alla passione. Aggiunge, infine, che celebrerà la Pasqua “coi suoi discepoli”, affinché quest’uomo prepari tutto quanto è necessario, e non pensi che Gesù voglia restare nascosto.
Venuta la sera si mise a tavola con i dodici.
O impudenza di Giuda! Anch’egli infatti è presente e prende parte ai misteri e alla cena; e viene rimproverato a questa stessa mensa, dove forse anche una belva avrebbe motivo di diventare più mite. Ecco perché l’evangelista precisa che, proprio mentre stanno mangiando, Cristo parla del tradimento, volendo cioè manifestare, mediante la solennità del tempo pasquale e la partecipazione a questa mensa, la malvagità di colui che lo tradisce.
Dopo che i discepoli hanno compiuto ciò che il Maestro ha loro comandato, venuta la sera, Gesù si mette con i dodici a tavola e mentre mangiavano, disse: “In verità vi dico, uno di voi mi tradirà”.
Notate che, prima di mettersi a tavola, Gesù lava i piedi ai discepoli, e considerate come egli risparmi il traditore. Non dice infatti: il tale mi tradirà, ma “uno di voi”, per dare a Giuda, col fatto di non venir scoperto agli altri discepoli, l’occasione di pentirsi. Gesù preferisce spaventare tutti per salvare uno. “Uno di voi” dodici, che siete sempre in mia compagnia, a cui ho lavato i piedi e ho fatto tante meravigliose promesse! Un dolore inesprimibile invade ora questa sacra compagnia. Giovanni narra che erano tutti turbati e si guardavano l’un l’altro, e ognuno diffidando di sé, interrogava Cristo, anche se la sua coscienza non gli rimproverava nulla di simile.
Anche Matteo riferisce: Ed essi grandemente rattristati, cominciarono a chiedergli l’uno dopo l’altro: “Sono forse io, o Signore?”. Ma egli rispose: “Colui al quale io darò un pezzo di pane intinto nel piatto, è quello che mi tradirà”.
Osservate che Cristo scopre Giuda solo perché vuole liberare gli altri apostoli dal turbamento: difatti sono quasi morti dalla paura, e di qui la loro insistenza nell’interrogare Gesù. Tuttavia fa questo non solo per liberare gli apostoli da quest’angoscia, ma volendo salvare il traditore. Giuda, infatti, sentendo spesso Cristo parlare in modo indeterminato del tradimento, era rimasto incorreggibilmente ostinato nel suo proposito e completamente insensibile. Gesù, volendo perciò ferire più profondamente il cuore indurito dell’apostolo, gli toglie la maschera. Infatti, dopo che gli altri, rattristati, hanno incominciato a dire: “Sono forse io, o Signore?”, rispondendo dichiara: Chi intinge con me nel piatto, costui mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo da cui il Figlio dell’uomo è tradito: bene per lui sarebbe che non fosse mai nato.
Alcuni sostengono che Giuda sia stato tanto insolente da non rispettare il Maestro e da intingere con lui nel piatto; a me pare invece che Cristo agisca così per smuoverlo e attirarlo a una migliore disposizione d’animo. Ciò infatti è una prova di maggiore considerazione.
Non dobbiamo accennare con leggerezza e di corsa a questi fatti, ma dobbiamo imprimerli nelle nostre menti: così non daremo mai adito alla collera. Chi volge il pensiero a quella cena in cui Giuda siede accanto al Salvatore di tutti, e sente colui che sta per essere tradito parlare in modo così mite, non allontanerà da sé tutto il veleno dell’ira e del furore? Notate infatti come Cristo si comporta con mansuetudine nei confronti del traditore. “Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui”. Con queste parole vuole rianimare gli apostoli, perché non attribuiscano il fatto a debolezza, e contemporaneamente corregge il traditore. “Ma guai a quell’uomo da cui il Figlio dell’uomo è tradito: bene per lui sarebbe che non fosse mai nato”. Considerate anche in questi rimproveri la sua ineffabile mansuetudine. Nemmeno qui assume tono violento e aspro, ma piuttosto rivolge parole piene di compassione, e ancora velatamente. Eppure, non solo la precedente insensibilità, ma anche l’impudenza che segue sarebbero degne della più veemente indignazione. Infatti, dopo essere stato in tal modo ripreso, Giuda chiede: Sono forse io, Signore?Che insensibilità e impudenza! Egli fa questa domanda, sapendo benissimo che commetterà tale delitto. E infatti l’evangelista riferisce questo, stupito dell’insolenza del traditore.
Che risponde il dolcissimo e assai mite Gesù? Tu l’hai detto. Avrebbe potuto dirgli: O scellerato ed esecrabile sacrilego e profanatore: da tanto tempo stai per partorire questo male, sei andato a fare patti satanici, hai consentito a ricevere denaro e, nonostante il mio rimprovero, osi ancora interrogarmi? Tuttavia il Signore non rinfaccia nulla di tutto questo. Che risponde allora? “Tu l’hai detto”, fissando a noi i limiti e le norme della pazienza. Qualcuno potrebbe dire: Se era scritto che Cristo doveva soffrire ciò, perché viene accusato Giuda? In realtà Giuda non ha fatto che mandare a compimento ciò che stava scritto. Io rispondo che Giuda non ha agito con questa intenzione, bensì per malvagità. Se tu non consideri lo scopo, il fine per cui si compiono le azioni, finirai con l’assolvere anche il diavolo da ogni colpa. Ma non è così, non è affatto così. Il diavolo e anche Giuda meritano supplizi senza fine, anche se ai loro atti è seguita la salvezza del mondo. Non è certo il tradimento di Giuda che ci ha salvati, ma la sapienza di Cristo e la ricchezza infinita della sua attività inventiva, che ha saputo usare dei delitti altrui per trarne la nostra salvezza. Tu potresti obiettare ancora: Se Giuda non avesse tradito Cristo, non l’avrebbe forse tradito un altro? E che interessa ciò per la questione che dobbiamo risolvere? Ma voi insistete: Se Gesù Cristo doveva essere crocifisso, era necessario che qualcuno lo consegnasse ai suoi nemici; e se era necessario che qualcuno lo tradisse, è evidente che il traditore doveva essere un uomo di questo tipo! Se tutti gli uomini fossero stati buoni, sarebbe stata ostacolata la nostra redenzione. Guardiamoci da tale assurdo pensiero! Dio, infinitamente sapiente, sapeva come ordinare e disporre la nostra salvezza, anche se non si fosse compiuto questo tradimento.. Infinita e incomprensibile è infatti la sua sapienza. Perché dunque nessuno pensi che Giuda sia stato artefice della nostra salvezza, Cristo lo compiange come uno sciagurato. Ma qualcuno potrebbe ancora obiettare: Se era bene per Giuda che non fosse mai nato, perché Dio ha permesso che nascesse, non solo lui ma anche tutti i malvagi? Tu dovresti piuttosto accusare i malvagi, che potendo non essere tali, lo sono diventati; ma tu, trascurando questo fatto, pretendi di esaminare curiosamente i misteri di Dio. Tuttavia tu sai che nessuno è malvagio di necessità. Ma, voi replicate, dovrebbero allora nascere soltanto i buoni e in tal caso non vi sarebbe necessità di inferno, di castigo, di supplizio, né vi sarebbe traccia di cattiveria; quanto ai malvagi, essi dovrebbero non nascere affatto, o morire appena nati. Anzitutto si deve rispondere con quelle parole dell’Apostolo: “O uomo, e chi sei tu dunque, che vuoi contraddire Dio? Domanda forse l’oggetto plasmato a colui che l’ha foggiato: Perché mi hai fatto così?”. Ma se voi esigete delle ragioni, vi diremo che, stando in mezzo ai malvagi, i buoni sono degni di maggior ammirazione: così soprattutto risplende sia la loro pazienza, sia la loro grande filosofia. Ragionando a quel modo, voi togliete ogni occasione di lotta e di combattimento. Ma, - voi obiettate ancora, - perché i buoni abbiano occasione di apparire gloriosi, gli altri devono essere puniti? No, assolutamente. I malvagi sono puniti per la loro iniquità. Non per il fatto di essere nati sono malvagi, ma per la loro negligenza: per questo vengono castigati. E, perché non sarebbero degni di castigo se, avendo tanti maestri, non ne profittano? Come i buoni meritano una duplice ricompensa, perché sono stati onesti e perché non si sono lasciati corrompere dai cattivi, così i malvagi meritano una doppia punizione: perché sono cattivi, quando potrebbero essere buoni, come lo provano quelli che lo sono, e perché non hanno assolutamente profittato dell’esempio dei buoni.
Ma ora vediamo che cosa risponde quello sciagurato, quando il Maestro lo riprende: Che cosa dice? “Sono forse io, Rabbi?”. Perché Giuda non ha rivolto prima questa domanda a Gesù? Egli pensava di restare nascosto, dato che Cristo aveva detto: “uno di voi”; ma quando si vede scoperto, osa interrogare ancora Gesù, sperando, per la mansuetudine del Maestro, che egli non lo riprenda; perciò lo chiama Rabbi.
O cecità! Fin dove è stato condotto? Tale è l’amore del denaro: Egli rende stolti, insolenti cani in luogo di uomini; anzi peggiori dei cani; da cani li fa demoni. Giuda si dà al diavolo che lo insidia, e tradisce Gesù che lo benefica, divenuto ormai egli stesso demonio, a causa del suo perverso proposito. Ciò che Giuda è stato, tali diventano gli uomini per l’insaziabile avidità di denaro: insensati, furiosi, totalmente presi dai guadagni. Come mai Matteo e altri due evangelisti riferiscono che, quando Giuda contrattò per il tradimento, allora entrò in lui il diavolo, mentre Giovanni dice che, Satana entrò in lui dopo aver preso il boccone? Anche Giovanni sa di questa circostanza. Precedentemente, infatti, aveva detto: “E durante la cena, avendo già il diavolo messo in cuore a Giuda di tradirlo”. Come mai in seguito riferisce che “dopo aver preso il boccone, Satana entrò in lui”? Il diavolo non entra nell’anima repentinamente, né d’un colpo, ma dapprima fa molti tentativi: il che accade anche qui. Avendo provato all’inizio ed essendosi avvicinato a Giuda quietamente, come lo vede pronto a riceverlo, entra interamente in lui e lo domina totalmente.
Qualcuno, infine, potrebbe obiettare: Perché, se celebrano la Pasqua, la mangiano illegalmente? La legge, infatti, non permetteva di mangiare la Pasqua seduti a mensa . Che si deve rispondere? Dopo aver mangiato la Pasqua, essi si siedono per la cena. Un altro evangelista, dal canto suo, afferma che Gesù quella sera, non solo mangiò la Pasqua, ma disse anche agli apostoli: “Con desiderio ho desiderato di mangiare questa Pasqua con voi”0, cioè la Pasqua di quest’anno. Per quale motivo? Perché allora stava per compiersi la salvezza del mondo, stavano per essere istituiti i misteri e con la morte di Gesù sarebbe finita la tristezza; così stava la croce nel suo pensiero e nella sua volontà. Ma niente ammansisce, niente piega e fa indietreggiare quella bestia selvaggia. Per questo Cristo lo chiama sciagurato, dicendo: “guai a quell’ uomo”. E l’atterrisce anche con queste parole: “Bene era per lui che non fosse mai nato” e tenta di farlo rientrare in sé, aggiungendo: “Colui al quale io darò un pezzo di pane intinto”. Niente lo trattiene, ma è preso dall’avarizia come da una pazzia furiosa, anzi da una malattia ancora peggiore. In realtà, questa è una pazzia ancor più grave. Un pazzo furioso, infatti, avrebbe fatto qualcosa di simile? Giuda non emette spuma dalla bocca, ma parla per tramare l’uccisione del Signore; non torce le mani, ma le tende per vendere quel sangue prezioso. Per questo la sua pazzia è più grave, in quanto si manifesta mentre egli è sano e cosciente. Ma non dice parole senza senso – voi obiettate. Ebbene, che vi è di più insensato di queste parole: “Che cosa volete darmi, e io ve lo consegnerò?”. Nella sua bocca risuona la voce del diavolo. Non percuote la terra scalciando coi piedi – voi mi fate osservare. Eppure quanto meglio sarebbe dar calci, steso a terra, anziché stare in piedi a quel modo. Mi fate notare che non si ferisce con pietre. Ma io vi rispondo che sarebbe meglio far questo, piuttosto che commettere quel delitto.
Volete che presentiamo gli indemoniati e gli avari e raffrontiamo gli uni e gli altri? Nessuno prenda questo come un’offesa personale. Non incolpiamo la natura, ma riproviamo il fatto in se stesso. L’indemoniato non è mai vestito, si ferisce con pietre, cammina per strade intransitabili, corre per aspri sentieri ed è spinto con veemenza dal demonio. Non vi pare che tutto ciò sia orribile? E che cosa vi sembrerà se io dimostrerò che gli avari commettono nella loro anima cose ben peggiori di queste e tanto più malvagie che le azioni degli indemoniati, al confronto, sembrano giochi da bambini? Non eviterete allora questo vizio? Vediamo se sotto qualche aspetto, gli avari si trovano in uno stato più tollerabile degli indemoniati: In nessuno, purtroppo; si trovano anzi in uno stato ben peggiore, dato che sono più turpi di mille indemoniati nudi: È assai meglio andar senza abiti, piuttosto che camminare vestiti di rapine, come fanno i baccanali. Costoro indossano maschere e vesti da pazzi furiosi: così anche gli avari. E come il furore è causa della nudità degli indemoniati, io penso che questa veste degli avari sia da attribuirsi a una pazzia furiosa, più esecrabile della nudità. Ora, io tenterò di dimostrarvi questo. Chi è più furioso: colui che fa del male a se stesso o chi colpisce, oltre  a sé, anche tutti quelli che incontra? Evidentemente, quest’ultimo. Gli indemoniati denudano sé stessi, ma gli avari spogliano tutti quelli che incontrano. Voi potreste obiettare che anche gli indemoniati stracciano gli abiti delle persone in cui si imbattono. Eppure, quanto preferirebbero le vittime degli avari avere i loro abiti stracciati, anziché essere derubati di tutti i loro beni. Ma gli indemoniati non danno schiaffi e pugni in faccia? In realtà anche gli avari fanno questo; e se non tutti lo fanno, allo stomaco delle loro vittime certamente, con la fame e con la miseria, assestano i più gravi colpi. Ma mordono forse con i denti? Volesse il cielo che mordessero con i denti e non con i dardi dell’avarizia, che sono ben più aguzzi e penetranti. Infatti: “i loro denti sono dardi e frecce”. Chi dei due soffre di più: colui che, morsicato una volta, viene subito curato, oppure chi ogni giorno è dilaniato dai denti della miseria? La povertà involontaria è più bruciante di una fornace, più crudele di una bestia feroce. Ma gli avari, voi insistete, non cercano i luoghi solitari come fanno gli indemoniati. Volesse il cielo che gli avari corressero per i deserti anziché nelle città e tutti, nelle città, potessero essere in pace. Gli avari sono più intollerabili di quegli indemoniati: essi infatti compiono nelle città ciò che gli indemoniati fanno in luoghi solitari, trasformando le città in deserti e, dato che nel deserto nessuno li impedisce, essi rubano i beni di tutti. Ma gli indemoniati – voi dite – non colpiscono con pietre coloro che incontrano? E che importa ciò? È facile evitare le pietre, ma chi potrà evitare le ferite che gli avari fanno con carta e inchiostro ai disgraziati in miseria, scrivendo lettere di obbligazione piene dei più duri colpi?
Ma consideriamo ora che cosa fanno a sé stessi gli avari. Essi se ne vanno attorno nudi per la città senza l’abito della virtù. E se questo non pare ad essi vergognoso, lo si deve alla loro estrema pazzia, per cui non si rendono conto di tale indecenza. Avrebbero vergogna a essere nudi nel corpo, ma si vantano di portare attorno la loro anima nuda. Se volete, vi dirò anche la ragione della loro insensibilità. Qual è? Eccola: essi vanno nudi tra una folla di gente nuda; perciò non si vergognano come nemmeno noi, ai bagni. Se molti fossero vestiti di virtù, allora apparirebbe più evidente il loro vizio. Ma ciò che oggi si deve deplorare sopra ogni altra cosa è che non ci si vergogna più del male, essendo molti i malvagi. Oltre al resto, il diavolo ha fatto anche questo: ha eliminato la coscienza del male, e, per la moltitudine di quelli che operano iniquità, ne ha affievolito la vergogna. Se infatti un avaro si trovasse tra una folla di uomini virtuosi, vedrebbe assai meglio la sua nudità. Risulta perciò evidente, da tutto questo, che gli avari sono nudi più degli indemoniati e che essi camminano per luoghi solitari. Nessuno potrebbe negare che la via larga e spaziosa su cui camminano è più deserta di ogni deserto. E anche se molti la percorrono, tuttavia non si trova un solo uomo su questa strada, bensì serpenti, scorpioni, lupi, vipere, aspidi, perché tali sono coloro che commettono il male. E non soltanto deserta, è anche più aspra e inaccessibile di quell’altra. E lo capisci da questo: le pietre, i precipizi, le salite scoscese feriscono coloro che vi camminano assai meno di quanto la rapina e l’avarizia danneggiano coloro che si lasciano dominare da questa passione. Anche gli avari vivono presso i sepolcri, come gli indemoniati; anzi sono sepolcri essi stessi. Eccone la prova: che cos’è un sepolcro? È una pietra che racchiude un corpo morto. E i corpi degli avari in che cosa differiscono da tali pietre? Sono, anzi, da compiangere più di queste. Non è infatti una pietra che racchiude un corpo morto, ma un corpo più insensibile delle pietre, che porta attorno un’anima morta. Per questo non sbaglierebbe chi chiamasse sepolcri gli avari. Anche nostro Signore chiamò così i farisei e aggiunse: “Dentro sono pieni di rapina e avarizia”. Volete pure che vi mostri come gli avari si feriscono la testa a colpi di pietra? Ma prima ditemi da dove volete apprendere tale dimostrazione. Dai fatti di oggi o da quelli futuri? Dato, forse, che dagli avvenimenti futuri gli avari non fanno gran caso, incominciamo a parlare del presente. Non sono infatti le preoccupazioni e le inquietudini più pesanti delle pietre? E, se non colpiscono la testa, non corrodono in cambio l’anima? Gli avari temono che esca giustamente dalla loro casa quanto vi è entrato con l’ingiustizia. Hanno terrore di essere rovinati completamente, e si adirano e si scagliano con violenza contro i familiari e contro gli estranei. Ora sono sconvolti dalla tristezza, ora dal timore, ora dalla collera e, scendendo da un precipizio all’altro, ogni giorno desiderano con ansia ciò che ancora non hanno. Per tal motivo non godono neppure ciò che già posseggono, sia perché non sono certi che i loro beni siano al sicuro. Sia perché il loro pensiero è totalmente rivolto a quello che non hanno ancora accumulato. E come chi ha continuamente sete, pur bevendo da mille fonti, non è soddisfatto perché non si sazia mai, così gli avari, non solo non provano piacere, ma sono tanto più tormentati quanto più posseggono, perché la loro avidità non conosce limiti. E ciò riguarda il presente; ma ora parliamo anche di quel giorno che verrà. Benché essi non se ne occupino, noi dobbiamo ugualmente parlarne. Chiunque comprende che in quel giorno essi saranno tormentati da ogni parte. Quando infatti il Signore dichiara: “Ebbi fame e non mi deste da mangiare, ebbi sete e non mi deste da bere”, castiga appunto gli avari; e quando dice: “andate nel fuoco eterno preparato per il diavolo”, vi manda coloro che si sono arricchiti ingiustamente. Anche il servo malvagio, che non distribuisce ai suoi compagni i beni del padrone, appartiene a questa classe di persone: altrettanto colui che sotterra il talento, e le cinque vergini stolte. E dovunque andrai vedrai gli avari puniti; ora essi si sentiranno dire: “C’è un abisso tra noi e voi”, ora: “andate lontano da me nel fuoco preparato”; molti, separati, andranno là dov’è stridor di denti; e potremo vederne altri respinti da ogni parte, senza alcun posto, avviati soltanto alla Geenna.
Quando sentiremo queste parole, che ci varrà per la salvezza la vera fede? Là, vi sarà stridor di denti, tenebra esteriore, fuoco preparato per il diavolo, si verrà separati e cacciati da ogni parte; qui, inimicizia, maldicenza, calunnie, pericoli, preoccupazioni, insidie, odio e avversione da parte di tutti, anche da parti di quanti sembrano adularci. Come i buoni sono ammirati non solo dai buoni ma anche dai cattivi, così i malvagi sono avversati non solo dai buoni ma anche dai cattivi; ed è tanto vero, questo, che mi piacerebbe interrogare gli stessi avari per farmi dire se in realtà non sono gli uni rivali degli altri, se non si ritengono reciprocamente nemici, quasi si fossero offesi nel più grave dei modi, e se non pensano di essere oltraggiati quando qualcuno rinfaccia loro, come un insulto, che sono avari. L’avarizia infatti è il colmo della corruzione ed è dimostrazione di grande malvagità. Se l’avaro non riesce a disprezzare le ricchezze, come riuscirà a dominare la concupiscenza, la vanagloria, il furore, l’ira? Come si può crederlo? Molti attribuiscono la concupiscenza della carne, l’ira, la collera alla costituzione fisica, e gli stessi medici riferiscono ad essa gli eccessi in questi campi. Asseriscono che chi è di temperamento più ardente e di indole più languida è propenso alla lussuria; mentre chi è di temperamento più secco e duro è collerico e iracondo. Nessuno invece ha mai sentito dire qualcosa di simile a proposito dell’avarizia. Tale vizio è provocato unicamente dalla negligenza e dall’indurimento dell’anima. Ecco perché vi esorto a correggere con ogni impegno tutti questi vizi e ad opporvi a quelle altre passioni che sorgono in noi ad ogni età. Se infatti, ad ogni tappa della nostra esistenza, navigheremo cercando di evitare le fatiche della virtù e subendo continui naufragi, giungeremo in porto privi del carico spirituale e subiremo gli estremi supplizi. Immenso oceano è la vita presente, e come in questo oceano vi sono vari mari, diversamente agitati da tempeste, - l’Egeo, pericoloso a causa dei venti, il Tirreno per i suoi stretti, la zona presso la Libia, chiamata Cariddi, a causa dei suoi banchi di sabbia, la Propontide, appare fuori del mar Eusino, per la violenza e l’impeto dei flutti, il mare al largo di Cadice, dalle coste inabitate e poco conosciute e scarsamente frequentato e, infine, ogni altro mare per cause particolari, - così accade anche nella nostra vita. Il primo mare è quello dell’infanzia, agitato da grande burrasca per la mancanza dell’uso della ragione, per la facilità a lasciarsi portare ovunque e per la sua conseguente instabilità. Ecco perché imponiamo ai bambini e ai fanciulli maestri e assistenti, che suppliscano a ciò che nella natura manca, così come si domina il mare con l’arte del navigare. All’infanzia segue il mare dell’adolescenza, dove i venti soffiano violenti, come nell’Egeo, perché in noi cresce e si fa più forte la concupiscenza. In questa età soprattutto sono rare le possibilità di correzione, non solo perché si è più agitati interiormente, ma anche perché i peccati non vengono rimproverati e condannati; il maestro e il precettore ormai se ne sono andati. Quando i venti soffiano con maggior forza, quando il timoniere è più debole e inesperto, e non v’è nessuno che porti aiuto, giudica tu quanto è grande il pericolo della tempesta. Alla giovinezza succede quell’altra età, propria degli uomini adulti, nella quale sopraggiungono gli impegni di famiglia: è il tempo di cercar moglie, di sposarsi, di mettere al mondo figli, di governare la casa, e di infinite altre preoccupazioni. E allora soprattutto si fanno strada l’avarizia e l’invidia.
Se noi, dunque, trascorriamo ogni età tra naufragi, come resisteremo in questa vita? Come eviteremo il supplizio futuro? Se infatti nella prima età non avremo appreso niente di sano, se nella giovinezza non avremo vissuto con temperanza e, divenuti uomini, non avremo dominato l’avarizia, andando alla vecchiaia come verso una sentina e rendendo sempre più fragile lo scafo della nostra anima con tutti questi colpi, divelte le assi del ponte, giungeremo a quel porto, carichi di una gran quantità di fango anziché di merci spirituali: allora offriremo al diavolo motivo di ridere e a noi stessi motivo di piangere attirandoci infine supplizi intollerabili. Per evitare che questo accada, rafforzandoci da tutte le parti e affrontando decisamente tutte le passioni, respingiamo e distruggiamo l’avidità delle ricchezze onde conseguire i beni futuri per la grazia e l’amore di Gesù Cristo, nostro Signore. A lui la gloria per i secoli dei secoli. Amen.





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