mercoledì 30 aprile 2014

LO SPOSO DELLA VERGINE MARIA - San Claudio de la Colombière



Della vita di S. Giuseppe veramente sappiamo molto poco. Nel Vangelo sono riferite solo tre o quattro azioni di lui; un antico autore ha notato che non è riportata neppure una sua parola. E' probabile che gli evangelisti tutti presi, tutti intenti com'erano a parlare delle grandi cose concernenti il Salvatore del mondo, non siano stati in grado di pensare ad altro. A meno che lo Spirito Santo non abbia voluto con questo farci capire più chiaramente il silenzio e l'umiltà di S. Giuseppe, il suo amore per la solitudine e la vita nascosta. Tuttavia non si può negare che questo silenzio costituisca una gran perdita per noi.

SOLENNITÀ DI SAN GIUSEPPE ARTIGIANO E FESTA DEL LAVORO OMELIA DI PAOLO VI Mercoledì, 1° maggio 1968


L'AZIONE MATERNA E REDENTRICE DELLA CHIESA

Diletti Figli e Figlie!

Eccoci a celebrare insieme il primo maggio, la festa del lavoro. È una festa nuova, che ha trovato posto nel calendario religioso in questi ultimi tempi; ed è chiaro che la Chiesa, introducendola nella serie delle sue sacre celebrazioni, manifesta un’intenzione redentrice, quasi un desiderio di ricupero, e certamente uno scopo santificatore. S’era prodotto un distacco in questi ultimi secoli fra la psicologia del lavoro e quella religiosa, un distacco che ha avuto grandi ripercussioni sociali, e che ancora tiene lontane dalla fede tante folle di uomini e di donne, che fanno del lavoro non solo la loro professione, ma altresì la loro qualifica spirituale, l’espressione della loro suprema concezione della vita, in opposizione a quella cristiana. È questo uno dei più grandi malintesi della società moderna, e che tutti oramai dovrebbero sapere risolvere da sé, non solo a lode della verità, ma a tutto vantaggio altresì del lavoro stesso e dei lavoratori, che della fatica e dell’attività produttiva portano nella loro vita l’impronta distintiva.

MARIA DELL’INCARNAZIONE GUYART (1599-1672) - FONDATRICE DELLE SUORE ORSOLINE DEL CANADA


MARIA DELL'INCARNAZIONE GUYART nacque a Tours, Fran­cia, il 28 ottobre 1599 da Fiorenzo Guyart e Johanna Michelet, umili pa­nettieri. Al battesimo, il giorno seguente, ricevette il nome di Maria. Fu educata in famiglia ad una vita austera e cristiana. Già fin da piccola ebbe delle esperienze mistiche ed a quindici anni, nel 1614, avvertì la vocazione religiosa, ma il padre scelse per lei il matrimonio. In ossequio alla volontà dei genitori, Maria obbedì.
A diciotto anni, nel 1617, sposò Claudio Martin, proprietario di un mo­desto setificio. Il 2 aprile 1619 nacque il piccolo Claudio, ma il 10 ottobre dello stesso anno rimase vedova, con la piccola azienda gravata di debiti e coinvolta in alcuni processi. Per i seguenti dieci anni Maria si dedicò all'e­ducazione del figlio e prese coraggiosamente in mano gli affari, sbrigandoli con grande responsabilità. Immersa in queste occupazioni, rifiutò di passare a seconde nozze, orientandosi sempre di più verso una vita di contemplazione nell'attività, che la colloca fra le grandi mistiche della Chiesa. Nel 1620 ebbe una « visione del sangue » che ella chiamò la sua conversione, alla qua­le seguirono tre visioni trinitarie. Nel 1621 fece il voto di castità e accettò poi l'invito del marito della sorella, Paolo Buisson, ad aiutarlo nel suo lavo­ro. Egli era capo di un'impresa di trasporti e Maria accettò di attendere a tutte le faccende di casa, finché nel 1625 le fu affidata l'amministrazione ge­nerale dell'impre. Pure in mezzo a tutta questa responsabilità, nel difficile ambiente di un Porto fluviale sulla Loira, assorbita in ogni minuto della giornata dalle multiforme attività, mantenne sempre una stretta unione con Dio, unendo la vita attiva con la contemplazione.

Dai Discorsi di s. Giuseppe Benedetto Cottolengo - Fiducia nella Divina Provvidenza



Le persone sagge e prudenti secondo le stolte idee del mondo non mettono già la loro totale confiden­za nella Divina Provvidenza, ma nella loro industria, cura e sollecitudine, nelle loro facoltà, nell'appoggio degli amici e dei figliuoli, come appunto li descrive con queste parole il profeta: Essi confidano nella loro forza; si vantano della loro grande ricchezza (Sal 48, 7).
Ma stolte e pregiudicate si devono dire tali per­sone, perché non dovrebbero confidare in se stes­se, non negli amici, i quali d'ordinario dacché sono giunti a occupare posti più alti, o a possedere più ampie sostanze, non li mirano più con occhio di amore; non nella loro figliuolanza, che perlopiù ama assai più le paterne sostanze; non nei grandi del secolo e in qualsivoglia altra persona del mon­do, nelle quali, secondo l'avviso di Davide, non v'ha salute e speranza di sicuro soccorso; non nella for­tuna che gli possa ridere piacevole in faccia, per­ché quell’ instabile ruota spesso pesta sotto il grave peso di mille infelicità colui che poco prima per l'auge di felicità l'innalzava fin sopra le stelle; non nelle ricchezze che presto sfuggono dopo un lam­po di brevissima durata; non nelle forze del loro in­gegno che sovente per giusto voler di Dio si cam­bia in oscurità e densa caligine; non negli onori che come fumo si dissipano veloci; e infine non in qual­sivoglia altra sorgente temporale per essere tutte vanità e inconsistenza.

La Principessa triste - Fiaba russa


Non si può immaginare dove arriva alta la luce del Signore! In essa vivono ricchi e poveri, e tutti comodamente, e tutti loro premia e provvede il Signore. Vivono i ricchi sfarzosi e festeggiano, vivono i poveracci e faticano, a ciascuno la sua sorte!
Nei palazzi reali, nelle lussuose stanze principesche, in una alta torre viveva la principessa triste. Come le si offriva bella la vita, con quanta libertà e lusso! Aveva tutto, proprio tutto ciò che si può desiderare, ma non sorrideva mai, non si divertiva mai e letteralmente niente riusciva a rallegrarle il cuore.
Lo Zar suo padre con grande amarezza vedeva la figlia sempre triste. Così aprì il suo palazzo a tutti coloro che volevano essere suoi ospiti :
"Che tutti tentino di rallegrare mia figlia! Chi ci riuscirà l'avrà in moglie!"
Non appena disse queste parole, come si affollò la popolazione alle porte reali! Venivano da tutte le parti, principi e marchesi, nobili e boiari, ufficiali e plebei; cominciarono banchetti, scorreva il miele, tuttavia la principessa non rideva.

lunedì 28 aprile 2014

Supplica alla Madonna di Bonaria

 
Eccoci nuovamente innanzi a Te, o Vergine Santissima di Bonaria, certi che nella tua bontà vorrai ancora chinarti verso di noi e ascoltarci.

Salve, Regina

Sono seicento anni che la Sardegna vanta un titolo speciale alla tua protezione, da quando, con un delicato e prodigioso gesto di predilezione, Tu volesti che il tuo bel simulacro approdasse alle nostre sponde e così diventasti la conquistatrice più benigna e l'ospite più insigne di quanti sbarcarono su quest’ isola nei travagliati millenni della sua storia.
Da quel giorno benedetto le vicende cristiane della nostra terra sono legate al tuo nome; al tuo colle sono saliti incessantemente i nostri padri con una preghiera sul labbro dettata via via dall'angoscia, dalla confidenza, dalla speranza, dalla fiducia. A Te sono ricorsi quando la guerra infuriava, quando infierivano la pestilenza e la carestia, quando la tempesta flagellava i fragili legni cui si affidavano al nostro mare meraviglioso e infido, quando malizia di uomini, furia di elementi o avversità di tempi li facevano sentire abbandonati, indifesi, miseri, oppressi; ai tuoi piedi trovarono sempre conforto e soccorso. Verso di Te sono, poi, risaliti cantando a celebrare le mille grazie da Te impetrate, la liberazione dal male e dalla paura, gli eventi felici della loro esistenza di persone e di popolo.

Tratto da “ CHI COMPRENDERA' IL CUORE DI DIO ? “ di Padre Marie Dominique Moliniè O.P



Ogni amicizia ha una storia, ed una storia pericolosa, tanto più pericolosa quanto bella....Non si può conoscere lo splendore di un'amicizia senza correre il rischio di perderla per colpa propria, o per colpa dell'amico....Pericolo permanente d'infedeltà, continuo splendore di fedeltà....L'amicizia non è una linea diritta, è un percorso disseminato di tornanti e di tappe. Quando uno di questi tornanti è stato superato, ella appare differente, allo stesso tempo più bella e più solida. Man mano che gli amici imparano a dirsi di sì ancora più profondamente, il pericolo aumenta e diminuisce. Diminuisce perché la fedeltà crea una determinazione più profonda, ma aumenta perché l'infedeltà sarebbe tanto più grave quanto più grande è l'amore che cresce s'approfondisce.

« Rinascere dall’acqua e dallo Spirito » Santa Gertrude di Helfta (1256-1301), monaca bendettina


Per l’immersione nel fonte battesimale : In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Gesù, fonte di vita, fammi bere alla tua stessa sorgente la coppa d’acqua viva, perché gustandoti eternamente non abbia più altra sete che di te ! Immergimi tutta intera nel profondo della tua misericordia. Battezzami e rendimi  senza macchia nella tua preziosa morte… Nell’acqua del tuo santissimo costato lava tutte le colpe con cui ho sporcato l’innocenza battesimale. Riempimi del tuo spirito e fammi tutta tua, in purezza di corpo e d’anima (cfr Gv 4,10; 19,34)…

Per la veste bianca, dì: Gesù, sole di giustizia (Mal 3,20), fa’ che sia rivestita di te, per poter vivere secondo la tua parola. Seguendo te, fa’ che resti bianca, santa e immacolata la veste dell’innocenza battesimale e che la presenti senza macchia davanti al tuo tribunale, per conservarla per la vita eterna.

Ricevendo la candela, chiederai l’illuminazione interiore: Gesù, luce che mai si spegne, accendi in me la lampada ardente della tua carità, e che mai si spenga, e insegnami a conservare il mio battesimo in modo irreprensibile affinché, chiamata alle tue nozze, tutta pronta meriti di entrare nelle delizie della vita eterna, per vederti, te, la vera luce,  e il dolce viso della tua divinità (cfr Mt 25,1ss)…

Signore Dio, mio Creatore e mio Redentore, rinnova oggi il tuo Spirito Santo nel mio cuore… Fammi grande per la fede, gioiosa per la speranza, paziente nella tribolazione, felice solo nel lodarti, piena del fervore dello Spirito, sempre fedele al tuo servizio, Signore Dio, mio vero Re, e perseverante con te nella vigilanza fino all’ultimo giorno della vita. Così, ciò che ora credo e spero, allora i miei occhi lo contempleranno nella realtà; ti vedrò come sei, ti vedrò faccia a faccia (1Gv 3,2; 1Cor 13,12). Caro Gesù, là mi sazierai di te; là, nel rallegrarmi del tuo dolce viso, sarai il mio riposo eterno. Amen.

Al Getsemani con Gesù, i discepoli parlano dei pagani e della "velata". Il colloquio con Nicodemo. Tratto da "L'Evangelo come mi è stato rivelato" - Libro n° 2 - Capitolo 116



24 febbraio 1945.
Gesù è nella cucina della casetta dell'Uliveto, a cena fra i suoi discepoli. Parlano dei fatti della giornata, che però non è quella precedentemente descritta, perché sento parlare di altri avvenimenti, fra cui la guarigione di un lebbroso avvenuta presso i sepolcri lungo la via di Betfage. «Vi era anche un centurione romano ad osservare», dice Bartolomeo. E aggiunge: «Mi ha chiesto, dall'alto del suo cavallo: "L'uomo che tu segui fa spesso simili cose?"; e alla mia risposta affermativa ha esclamato: "Allora è più grande di Esculapio e diventerà ricco più di Creso". Ho risposto: "Sarà sempre povero secondo il mondo, perché non riceve ma dà e non vuole che anime da portare al Dio vero". Il centurione mi ha guardato stupito e poi ha spronato il cavallo andandosene al galoppo». «C'era anche una dama romana nella sua lettiga. Non poteva essere che una donna. Aveva le tende calate, ma occhieggiava da esse. Ho visto», dice Tommaso. «Sì. Era presso la curva alta della via. Aveva dato ordine di fermarsi quando il lebbroso aveva gridato: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!". Allora aveva una tenda scostata ed io ho visto che ti ha guardato con una lente preziosa, e poi ha riso ironica. Ma quando ha visto che Tu, solo col comando, lo hai guarito! Allora mi ha chiamato e mi ha chiesto: "Ma è quello che dicono il vero Messia?". Ho risposto di sì e lei mi ha detto: "E tu sei con Lui?", e poi ha chiesto: "É proprio buono?"», dice Giovanni. «Allora l'hai vista! Come era?», chiedono Pietro e Giuda.

sabato 26 aprile 2014

Tu sei la fonte dell'Amore



Benedetto sei tu, Signore e Dio dell'universo,
perché ci hai donato la vita e ci hai fatto incontrare.
Tu sei la fonte dell'amore che è sbocciato tra noi
E che affidi alla nostra responsabilità:
rendilo sempre più bello e più vero,
libero da ogni superbia ed egoismo,
generoso nella ricerca del bene dell'altro.
Le nostre parole e i nostri gesti siano puri e trasparenti,
capaci di esprimere il dono reciproco e sincero
di noi stessi,
per crescere ogni giorno
in una più profonda comunione di vita.
Solo così potremo sperimentare e testimoniare
il tuo amore senza limiti.

Amen.

VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA - DEDICAZIONE DEL SANTUARIO DELLA DIVINA MISERICORDIA - OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II - Kraków-Łagiewniki - Sabato, 17 agosto 2002



"O inconcepibile ed insondabile Misericordia di Dio,
Chi Ti può adorare ed esaltare in modo degno?
O massimo attributo di Dio Onnipotente,
Tu sei la dolce speranza dei peccatori
"
(Diario, 951 - ed. it. 2001, p. 341).

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Ripeto oggi queste semplici e sincere parole di Santa Faustina, per adorare assieme a lei e a tutti voi il mistero inconcepibile ed insondabile della misericordia di Dio. Come lei, vogliamo professare che non esiste per l’uomo altra fonte di speranza, al di fuori della misericordia di Dio. Desideriamo ripetere con fede: Gesù, confido in Te!
Di questo annuncio, che esprime la fiducia nell’amore onnipotente di Dio, abbiamo particolarmente bisogno nei nostri tempi, in cui l’uomo prova smarrimento di fronte alle molteplici manifestazioni del male. Bisogna che l’invocazione della misericordia di Dio scaturisca dal profondo dei cuori pieni di sofferenza, di apprensione e di incertezza, ma nel contempo in cerca di una fonte infallibile di speranza. Perciò veniamo oggi qui, nel Santuario di Łagiewniki, per riscoprire in Cristo il volto del Padre: di Colui che è "Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione" (2 Cor 1, 3). Con gli occhi dell’anima desideriamo fissare gli occhi di Gesù misericordioso per trovare nella profondità di questo sguardo il riflesso della sua vita, nonché la luce della grazia che già tante volte abbiamo ricevuto, e che Dio ci riserva per tutti i giorni e per l’ultimo giorno.

Inno all’umiltà - Lettera n° 29 - Fr. M.D. Molinié, o.p. Nancy, 22 Marzo 1993



Il XIX secolo è stato quello delle speranze messianiche e prometeiche, il XX secolo quello dei castighi e della disperazione. Dopo l‟Olocausto e l‟Arcipelago Gulag, davanti ai milioni di bambini che muoiono di fame, o sono condannati ai lavori forzati dal capitalismo selvaggio, davanti alle atrocità che si perpetuano, i fanatismi che si sbranano a vicenda, le vittime dell‟Aids, si ha ancora il diritto di cercare la felicità, oppure il solo porsi tale questione è indecente? E tuttavia Arthur Rimbaud, profeta di questo XX secolo folle, ha cantato “la magique étude du bonheur, que nul n’élude.” Non si crede più alla felicità, ma si crede alla magia: magia dei ciarlatani e magia degli artisti, che portò Rimbaud a passare una “stagione all‟inferno.” Il sesso, l‟alcool, la droga, il rock, dispensano ai disperati delle ore di sogno, dei momenti di estasi, degli istanti di euforia e dei giorni di sballo. Più che della poesia, Rimbaud aveva bisogno di camminare: ha fatto delle fughe nella sua infanzia, ha continuato da adulto, era la sua unica droga o la sua sola felicità. Quando si è visto condannato all‟immobilità, a Marsiglia, si è veramente disperato: “sono troppo infelice.” Ha sopportato delle sofferenze fisiche incredibili finché ha potuto camminare: non ha sopportato di doversi fermare. Sul letto di morte ha ritrovato il dono poetico della sua infanzia, era trasfigurato, diceva la sorella, più bello che mai... forse ha ritrovato Dio ma questo è avvenuto attraverso la porta stretta di una vera disperazione umana. Un altro grande camminatore fu Charles de Foucault. Ha conosciuto l‟ebbrezza del piacere: le feste folli, il foie gras, le prostitute... del piacere non gli interessava che l‟ebbrezza e non si curava del piacere stesso, divorato com‟era da un fuoco interiore. “Il magico studio della felicità, cui nessuno sfugge,” tratto da Arthur Rimbaud, La Felicità (ndt). Dopo il piacere ha conosciuto le marce attraverso le montagne del Marocco, ha scoperto l‟adorazione, ha tremato davanti a qualcosa che superava la sua disperazione. L‟unica possibilità che abbiamo di trovare la felicità è l‟adorazione. 

REGINA COELI - GIOVANNI PAOLO II Domenica, 10 aprile 1983



“Regina caeli, laetare, alleluia”! 

La bella e antica antifona, che tra poco reciteremo, tutta intercalata da “alleluia” di esultanza, ci dice molto bene la gioia della Madre del Signore per la Risurrezione del suo Figlio divino e, con lei e in lei, la gioia della Chiesa e di tutti noi.
I Vangeli non ci parlano di un’apparizione di Gesù risorto alla Madre: questo ineffabile mistero di gioia resta sotto il velo di un mistico silenzio. È certo comunque che essa, la prima redenta, come è stata in modo speciale vicina alla Croce del Figlio (Gv 19, 25), così ha avuto un’esperienza privilegiata del Risorto, tale da causare in lei una gioia intensissima, unica tra quelle di tutte le altre creature salvate dal Sangue di Cristo.
Maria ci è guida nella conoscenza dei misteri del Signore: e come in lei e con lei comprendiamo il senso della Croce, così in lei e con lei giungiamo a cogliere il significato della Risurrezione, gustando la gioia che da tale esperienza promana.
Maria, infatti, tra tutte le creature, ha creduto, fin dall’inizio, a tutto ciò che il Verbo, incarnandosi in lei, ha compiuto nel mondo, per la salvezza del mondo. In un’ascesa di esultanza fondata sulla fede, la sua gioia è passata da quella del “Magnificat”, piena di speranza, a quella purissima, senza più ombra di declino, per il trionfo del Figlio sul peccato e sulla morte.
Maria è colei che ha cooperato, come dice il Concilio Vaticano II, “in modo del tutto singolare all’opera del Salvatore, coll’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime” (Lumen Gentium, 61). E ora “si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli ed affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata (Ivi, 62).
 
GIOVANNI PAOLO II  Domenica, 10 aprile 1983

venerdì 25 aprile 2014

Padre Zirano, la cerimonia di beatificazione a Sassari - Il 12 ottobre il frate francescano turritano salirà agli onori dell’altare con una cerimonia che si svolgerà in piazza d’Italia. Il conventuale, nato a Sassari nel 1564, fu fatto prigioniero in Africa e condannato a morte



Il prossimo 12 ottobre gli occhi della Chiesa universale saranno puntati sulla nostra città. Il Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, cardinale Angelo Amato, su mandato di Papa Francesco, eleverà alla gloria degli altari, padre Francesco Zirano.
La cerimonia si svolgerà in piazza d'Italia, davanti a migliaia di fedeli provenienti da tutta l'isola e a delegazioni di frati in arrivo da tutto il mondo. Il decreto di beatificazione del Servo di Dio, autorizzato dal Sommo Pontefice venerdì 8 febbraio scorso, è in fase di preparazione negli uffici della Santa Sede. Dal 13 ottobre 2014 a Francesco Zirano sarà riconosciuto il pubblico culto nella diocesi e nella regione d'origine, quindi a Sassari e in Sardegna, e sarà indicato come modello di vita e intercessore dal Cielo per i cristiani.
È la prima volta, nella storia moderna della Chiesa turritana, che una cerimonia di beatificazione avviene nel capoluogo o, comunque, nel territorio. Fino al 2005 il solenne rito avveniva, sempre officiato dal papa, esclusivamente in piazza San Pietro. Benedetto XVI, per coinvolgere maggiormente i fedeli e le diocesi di provenienza dei nuovi beati, ha autorizzato queste speciali liturgie in sede locale, delegando in genere il Prefetto della Congregazione per le cause dei Santi. Dopo Cagliari, che ha avuto questo onore il 3 febbraio 2008 quando è stata beatificata la suora vincenziana, Giuseppina Nicoli, che dal 1899 al 1910 aveva operato anche nell'orfanotrofio sassarese "Figlie di Maria", fra sette mesi sarà la volta di Sassari.

Apparizione sulle rive del lago e conferimento del mandato a Pietro. Tratto da "L'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta - Libro n° 10 - Capitolo 633



19 aprile 1947.
Una notte calma e afosa. Non tira un respiro di vento. Le stelle, larghe e palpitanti, gremiscono il cielo sereno. Il lago, calmo e immobile tanto da parere una vastissima vasca al riparo dei venti, riflette sulla sua superficie la gloria di quel cielo palpitante d’astri. Le piante lungo le rive sono un blocco senza fremiti. Così calmo il lago che il suo fiotto sulla riva si riduce ad un fruscio lievissimo. Qualche barca al largo, appena visibile come forma vagante, che talora mette una stellina a poca distanza dall’onda col suo lumino legato all’albero della vela a rischiarare l’interno del piccolo scafo.Non so quale punto del lago sia. Direi in quello più meridionale, là dove il lago si appresta a ritornar fiume. Alla periferia di Tarichea, direi, non perché io veda la città, che un ammasso d’alberi mi nasconde, protendendosi nel lago a fare un piccolo promontorio collinoso, ma perché così giudico dalle stelline dei lumi delle barche, che si allontanano verso nord staccandosi dalle sponde del lago. Dico periferia perché un mucchietto di casupole, che son tanto poche da non poter costituire neppure un villaggio, sono riunite lì, ai piedi del piccolo promontorio. Case povere, quasi sul lido, certo di pescatori.Delle barche in secco sulla piccola spiaggia; altre, già pronte a navigare, presso riva, nell’acqua, e così ferme da parer confitte al suolo, anziché galleggianti.Da una casupola Pietro sporge il capo. La luce tremolante di un fuoco acceso nella cucina fumosa illumina da tergo la figura atticciata dell’apostolo, facendola risaltare come un disegno. Guarda il cielo, guarda il lago... Viene avanti sino al limite del lido. Poi è con una tunica corta e a piedi scalzaentra nell’acqua sino a mezza coscia e carezza il bordo di una barca, proten- dendo il braccio muscoloso.Lo raggiungono i figli di Zebedeo. «Bella notte». «Fra poco ci sarà la luna». «Sera di pesca». «Coi remi però». «Non c’è vento». «Che si fa?».

giovedì 24 aprile 2014

O Dio, mandaci dei matti!! - Louis Joseph Lebret



A noi mancano matti, o Signore,
ma di quelli che sappiano amare
con opere e non con parole,
di quelli che siano totalmente a disposizione del prossimo.

A noi mancano matti, o Signore,
mancano temerari, appassionati,
persone capaci di saltare
nel vuoto insicuro, sconosciuto
e ogni giorno più profondo della povertà;
di quelli che non utilizzano il prossimo per i loro fini.

Ci mancano questi matti, o mio Dio!
Matti nel presente,
innamorati di una vita semplice,
liberatori del povero,
amanti della pace,
liberi da compromessi,
decisi a non tradire mai,
disprezzando le proprie comodità
o la propria vita,
totalmente decisi per l'abnegazione,
capaci di accettare tutti i tipi di incarichi,
di andare in qualsiasi luogo per ubbidienza,
e nel medesimo tempo liberi, obbedienti,
spontanei e tenaci,
allegri, dolci e forti.

Dacci questo tipo di matti,
o mio Signore!!!


(Louis Joseph Lebret)

Beata Maria Elisabetta Hesselblad


«Dov'è il vero ovile di Cristo?» Ecco la domanda che si pone una giovane svedese, Maria Elisabetta Hesselblad, quando si rende conto che le sue compagne di scuola appartengono a diverse confessioni cristiane. Non aveva Gesù Cristo espresso l'ardente desiderio di condurre tutte le pecorelle in un unico ovile, affidate alla custodia di un solo pastore? (ved. Giov. 10, 16) Nella solitudine delle immense foreste di abeti che ama tanto, la ragazza prega il Padre celeste di indicarle l'ovile in cui vuole che tutti siano riuniti. Un giorno, mentre una pace meravigliosa si diffonde nella sua anima, le sembra di sentire queste parole: «Sì, figlia mia, un giorno te lo indicherò». 

«Con l'aiuto di Dio, si può sormontare tutto»
Elisabetta Hesselblad è nata nel villaggio di Faglavik, nella provincia del Västergötland (sudovest della Svezia), il 4 giugno 1870. Poichè appartengono alla confessione luteriana, maggioritaria in Svezia, i suoi genitori la fanno battezzare al tempio qualche settimana più tardi. Originari della piccola borghesia rurale, gli Hesselblad hanno un negozio di generi alimentari che non è prospero, il che li obbligherà ad aprire, fin dal 1871, una libreria-cartoleria a Falun, nella Svezia centrale. Suo padre, Augusto Roberto, è un uomo buono e sensibile, che ha un temperamento d'artista. Karin, sua madre, donna pratica, accorta e lavoratrice, darà alla luce tredici figli, nove maschi e quattro femmine, di cui tre moriranno giovani. Elisabetta è la quinta. La vita in famiglia contribuirà ad arricchire il suo temperamento socievole e particolarmente equilibrato. Gli Hesselblad sono devoti e frequentano il tempio tutte le domeniche. Fin dall'adolescenza, Elisabetta capisce che ogni vita umana deve esser consacrata a conoscere Dio ed a servirlo.
Colpita gravemente dalla difterite e dalla scarlattina all'età di sette anni, Elisabetta la scampa; ma, a dodici anni, una nuova malattia le provoca ulcere allo stomaco ed emorragie interne che le lasceranno postumi per tutta la vita. Scriverà più tardi: «Dio mi ha concesso molto presto la grazia di capire che le difficoltà erano mandate per esser vinte. Con l'aiuto di Dio, si può sormontare tutto, ma, senza il suo sostegno, qualsiasi sforzo è inutile».

mercoledì 23 aprile 2014

«Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino» GIOVANNI PAOLO II


 LETTERA APOSTOLICA
MANE NOBISCUM DOMINE
DEL SOMMO PONTEFICE GIOVANNI PAOLO II
ALL'EPISCOPATO, AL CLERO
E AI FEDELI

PER L'ANNO DELL'EUCARISTIA
OTTOBRE 2004 – OTTOBRE 2005

INTRODUZIONE
1. «Rimani con noi, Signore, perché si fa sera» (cfr Lc 24,29). Fu questo l'invito accorato che i due discepoli, incamminati verso Emmaus la sera stessa del giorno della risurrezione, rivolsero al Viandante che si era ad essi unito lungo il cammino. Carichi di tristi pensieri, non immaginavano che quello sconosciuto fosse proprio il loro Maestro, ormai risorto. Sperimentavano tuttavia un intimo «ardore» (cfr ivi, 32), mentre Egli parlava con loro «spiegando» le Scritture. La luce della Parola scioglieva la durezza del loro cuore e «apriva loro gli occhi» (cfr ivi, 31). Tra le ombre del giorno in declino e l'oscurità che incombeva nell'animo, quel Viandante era un raggio di luce che risvegliava la speranza ed apriva i loro animi al desiderio della luce piena. «Rimani con noi», supplicarono. Ed egli accettò. Di lì a poco, il volto di Gesù sarebbe scomparso, ma il Maestro sarebbe «rimasto» sotto i veli del «pane spezzato», davanti al quale i loro occhi si erano aperti.
2. L'icona dei discepoli di Emmaus ben si presta ad orientare un Anno che vedrà la Chiesa particolarmente impegnata a vivere il mistero della Santa Eucaristia. Sulla strada dei nostri interrogativi e delle nostre inquietudini, talvolta delle nostre cocenti delusioni, il divino Viandante continua a farsi nostro compagno per introdurci, con l'interpretazione delle Scritture, alla comprensione dei misteri di Dio. Quando l'incontro diventa pieno, alla luce della Parola subentra quella che scaturisce dal «Pane di vita», con cui Cristo adempie in modo sommo la sua promessa di «stare con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (cfr Mt 28,20).
3. La «frazione del pane» — come agli inizi veniva chiamata l'Eucaristia — è da sempre al centro della vita della Chiesa. Per mezzo di essa Cristo rende presente, nello scorrere del tempo, il suo mistero di morte e di risurrezione. In essa Egli in persona è ricevuto quale «pane vivo disceso dal cielo» (Gv 6,51), e con Lui ci è dato il pegno della vita eterna, grazie al quale si pregusta l'eterno convito della Gerusalemme celeste. Più volte, e di recente nell'Enciclica Ecclesia de Eucharistia, ponendomi nel solco dell'insegnamento dei Padri, dei Concili Ecumenici e degli stessi miei Predecessori, ho invitato la Chiesa a riflettere sull'Eucaristia. Non intendo perciò, in questo scritto, riproporre l'insegnamento già offerto, al quale rinvio perché venga approfondito e assimilato. Ho ritenuto tuttavia che, proprio a tale scopo, potesse essere di grande aiuto un Anno interamente dedicato a questo mirabile Sacramento.

martedì 22 aprile 2014

Le pie donne al Sepolcro - Tratto da "L'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta - Libro n° 10 - Capitolo 619



2 aprile 1945.
Le donne, intanto, uscite dalla casa camminano rasente al muro, ombre nell’ombra. Per qualche tempo tacciono, tutte imbacuccate e paurose di tanto silenzio e solitudine. Poi, rassicurandosi alla vista della calma assoluta che è in città, si riuniscono in gruppo e osano parlare.«Saranno già aperte le porte?», chiede Susanna. «Certo. Guarda là il primo ortolano che entra con le verdure. Va al mercato», risponde Salome.«Ci diranno nulla?», chiede ancora Susanna. «Chi?», domanda la Maddalena. «I soldati, alla porta Giudiziaria. Di lì... entrano pochi ed escono meno ancora... Daremo sospetti...».«E con ciò? Ci guarderanno. Vedranno cinque donne che vanno verso la campagna. Potremmo essere anche persone che, fatta la Pasqua, andiamo ai nostri paesi».«Però... Per non dare nell’occhio a qualche malintenzionato, perché non usciamo da un’altra porta e poi giriamo rasente alle mura?...».«Allungheremo la strada». «Ma saremo più sicure. Prendiamo la porta dell’Acqua...». «Oh! Salome! Se fossi in te, sceglierei la porta Orientale! Più lungo il giro dovresti fare! Occorre fare presto e tornare presto». È la Maddalena questa così recisa.«Allora un’altra, ma non quella Giudiziaria. Sii buona...», pregano tutte. «E va bene. Allora, posto che volete così, passiamo da Giovanna. Si è raccomandata di farglielo sapere. Se fossimo andate dirette, si poteva fare senza. Ma poiché volete fare un giro più lungo, passiamo da lei...».«Oh! sì. Anche per le guardie messe là... Lei è nota e temuta...». «Io direi di passare anche da Giuseppe d’Arimatea. È il padrone del luogo». «Ma sì! Facciamo un corteo, adesso, per non dare nell’occhio! Oh! che pavida sorella che ho! Piuttosto, sai Marta? Facciamo così. Io vado avanti e guardo. Voi venite dietro con Giovanna. Mi metterò in mezzo alla via, se c’è del pericolo, e mi vedrete. E torneremo indietro. Ma vi assicuro che le guardie, davanti a questo io ci ho pensato (e mostra una borsa piena di monete) ci lasceranno fare tutto».«Lo diremo anche a Giovanna. Hai ragione». «Allora andate, che io vado». «Vai sola, Maria? Io vengo con te», dice Marta timorosa per la sorella. «No. Tu va’ con Maria d’Alfeo da Giovanna. Salome e Susanna ti aspetteranno presso la porta, dalla parte di fuori delle mura. E poi verrete per la via maestra tutte insieme. Addio». E Maria Maddalena tronca altri possibili commenti andandosene veloce con la sua borsa di balsami e le sue monete in seno.Vola, tanto va lesta nella strada che si fa più lieta nel primo rosare dell’aurora. Passa la porta Giudiziaria per fare più presto. Né nessuno la ferma...

lunedì 21 aprile 2014

Comunione - Tratto da “ Vita comune “ di Dietrich Bonhoeffer



«Oh quant’è bello e quanto è soave che i fratelli abitino insieme nella concordia!» (Sal 133,1). Nelle pagine seguenti rifletteremo su alcune indicazioni e regole che ci vengono date dalla sacra Scrittura per la vita comune nell’ubbidienza alla Parola.
Non è affatto ovvio che al cristiano sia consentito vivere in mezzo ad altri cristiani. Gesù Cristo è vissuto in mezzo a gente a lui ostile. Alla fine fu abbandonato da tutti i discepoli. Sulla croce si ritrovò del tutto solo, circondato da malfattori e da schernitori. La sua venu­ta aveva lo scopo di portare la pace ai nemici di Dio. Quindi anche il posto del cristiano non è l’isolamento di una vita claustrale, ma lo stare in mezzo ai nemici. Lì si svolge il suo compito e il suo lavoro. «Il Regno si compirà in mezzo ai tuoi nemici. E chi non vuol soppor­tare questo, non vuol appartenere al Regno di Cristo, ma preferisce restare in mezzo ad amici, fra rose e gigli, non vuol stare vicino ai malvagi, ma alla gente pia. Oh, bestemmiatori di Dio e traditori del Cristo! Se Cristo avesse fatto come voi, chi mai si sarebbe salvato?» (Lutero)1.

«Io li voglio disperdere fra i popoli, e voglio che essi, nelle remote regioni, si ricordino di me» (Zc 10,9). Secondo la volontà di Dio i cristiani sono un popolo disperso, disseminato in tutte le direzioni, «per tutti i regni della terra» (Dt 28,25). È la loro maledizione e la loro promessa. In paesi remoti, fra gli increduli, deve vivere il popolo di Dio, ma così esso diverrà il seme del regno di Dio in tutto il mondo.

Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 28,8-15 - Andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno


 
Mt 28,8-15

In quel tempo, abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».
Mentre esse erano in cammino, ecco, alcune guardie giunsero in città e annunciarono ai capi dei sacerdoti tutto quanto era accaduto. Questi allora si riunirono con gli anziani e, dopo essersi consultati, diedero una buona somma di denaro ai soldati, dicendo: «Dite così: “I suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo”. E se mai la cosa venisse all’orecchio del governatore, noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni preoccupazione». Quelli presero il denaro e fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questo racconto si è divulgato fra i Giudei fino a oggi.

Parola del Signore

Riflessione

Giorni terribili quelli appena trascorsi!!!... Ognuno di noi ha seguito Gesù nella Sua passione in maniera differente, proprio come allora...
C'è stato chi non Lo ha lasciato da solo neanche un momento, chi per paura di perdere la propria vita ha deciso di nascondersi, chi nonostante avesse beneficiato dei suoi prodigi alla fine gli si volge contro perché le proprie aspettative non sono esaudite, e chi, non fidandosi di Lui e della Sua misericordia, si lascia vincere dai sensi di colpa che assorbono talmente la luce da fare precipitare nel buio più totale la propria vita.
Per chi non è rimasto indifferente questi giorni sono stati una prova dura e intensa. Il dolore e la sofferenza subiti da Gesù per noi sono stati troppo forti. Lui non c'è più... il vuoto che lascia ci destabilizza. Ci vuole un po' di tempo per rendersi conto che Lui ora è vivo... è risorto... e noi dobbiamo gioire. Ma è tutto così strano... E' possibile che sia già tutto finito?

I SEGNI DELLA NOSTRA PASQUA - Primo Mazzolari


Don Primo Mazzolari (1890-1959): parroco, predicatore, conferenziere, scrittore, giornalista e polemista. In tutto e soprattutto, sempre: Sacerdote, uomo di Dio. Non ci sono schemi in cui possa essere racchiusa la sua opera, perché il suo metodo era l'amore, un amore senza misura. Nella sua vita don Primo aveva in realtà avvertito il Cristo e lo aveva fatto avvertire, oltre che nel mistero dell'Eucaristia, nella stessa presenza dei poveri: il tesoro come egli diceva della sua parrocchia. Aveva qualcosa del profeta che parla senza preoccuparsi dei rischi personali che la sua parola gli può far correre. Autentico scrittore sa interessare, conquistare, convincere; sa stabilire una giusta sintesi tra il passato e il nuovo, tra la cultura e la vita, rimanendo ancorato a sicuri principi che danno il senso esatto della situazione.

I segni della Pasqua del Signore li possono vedere anche coloro che non credono: ma i segni della nostra Pasqua dove sono?
Perché essi appaiano e ognuno li veda, è necessario che i cristiani «compiano» in se stessi ciò che manca alla passione di Cristo.
Noi siamo tuttora nella fase del rifiuto: Allontana da me questo calice. Quando avremo la forza da aggiungere: Però, non la mia, ma la tua volontà sia fatta (Lc. 22,42)?
Questa è la prima condizione, convalidata dall'esempio del Maestro, la quale può portare i nel giorno che il Signore ha fatto.
Ogni rifiuto di bere la nostra sorsata di dolore comporta fatalmente la legittimità del soffrire degli altri e l'aggravamento di esso.
La mia croce va a cadere sulle spalle di questi e di quelli; e quando li vedo a terra gravati dal mio carico, ho persino la spudoratezza d'incolparli dell'andar male di ogni cosa. Chi rifiuta il Calvario, non fa la Pasqua. Fa la Pasqua e aiuta a fare la Pasqua chi porta la propria croce e dà mano alle spalle degli altri. Dove vuoi che prepariamo la Pasqua? (Mt. 26, 17) gli chiedono i discepoli il primo giorno degli azzimi. Non c'è più bisogno di chiederglielo. Ora, sappiamo dove si fa la Pasqua, e ne sappiamo anche la strada, che passa at traverso i segni dei chiodi. Non ce n'è un'altra.
Noi cristiani abbiamo fretta di vedere i segni della Pasqua del Signore, e quasi gli muoviamo rimprovero di ogni indugio, che fa parte del mistero della Redenzione. I non-cristiani hanno fretta di vedere i segni della nostra Pasqua, che aiutano a capire i segni della Pasqua del Signore.
Un sepolcro imbiancato, che di fuori appare lucente, ma dentro è pieno di marciume, non è un sepolcro glorioso.
Chi mette insieme pesanti fardelli per caricarli sulle spalle degli altri, senza smuoverli nemmeno con un dito, è fuori della Pasqua.
Chi fa le sue opere per richiamare l'attenzione della gente, invitando stampa e televisione, non vede la Pasqua.
Chi chiude il Regno dei Cieli in faccia agli uomini per mancanza di misericordia, non sente la Pasqua.
Chi paga le piccole decime e trascura la giustizia, la misericordia e la fedeltà, rinnega la Pasqua.
Chi lava il piatto dall'esterno, mentre dentro è pieno di rapina e d'intemperanza, non fa posto alla Pasqua.
Oggi è Pasqua, anche se noi non siamo anime pasquali: il sepolcro si spalanca ugualmente, e l'alleluia della vita esulta perfino nell'aria e nei campi; ma chi sulle strade dell'uomo, questa mattina, sa camminargli accanto e, lungo il cammino, risollevargli il cuore?
Una cristianità che s'incanta dietro memorie e che ripete, senza spasimo, gesti e parole divine, e a cui l'alleluia è soltanto un rito e non ha trasfigurante irradiazione della fede e della gioia nella vita che vince il male e la morte dell'uomo, come può comunicare i segni della Pasqua?



domenica 20 aprile 2014

Inno Di Resurrezione



Alleluia, alleluia, alleluia
Piange Maria davanti al sepolcro,
Io l'ho seguito, lo amavo davvero
lui mi ha guarito, mi ha dato la vita,
me l'hanno ucciso e lui non c'è più.
 

Alleluia, alleluia, alleluia
 

Vuoto è il sepolcro, non c'è più il suo corpo
sente una voce, la chiama per nome,
e con il volto segnato dal pianto,
si volge indietro e corre da lui.
 

Alleluia, alleluia, alleluia
 

Perché tu cerchi chi è vivo tra i morti?
Alzati e corri, non sono più qui!
Tu che sei l'ultima agli occhi degli altri,
vai tu per prima e grida: "È risorto!"
 

Alleluia, alleluia, alleluia...

IL GIORNO SENZA TRAMONTO San Massimo di Torino

Vescovo del V secolo, morto verso il 470, San Massimo è, unitamente a Sant'Agostino, uno dei primi Padri latini che ci hanno lasciato le più belle raccolte di sermoni. Lo conosciamo quasi unicamente per la sua opera letteraria ed oratoria. Tale opera ci rivela un vescovo zelante nella battaglia per l'integrità della fede e preoccupato del progresso spirituale dei suoi fedeli. La sua eloquenza, forte pur nella sua semplicità, è ispirata da uno zelo pastorale che si dedica alla dimostrazione della presenza di Cristo in tutta la Sacra Scrittura.



Tutta la creazione è invitata ora ad esultare e a gioire, perché la resurrezione di Cristo ha spalancato le porte degli inferi, i nuovi battezzati hanno rinnovato la terra e lo Spirito Santo apre il cielo. L'inferno, a porte spalancate, lascia uscire i morti, dalla terra rimessa a nuovo germogliano i resuscitati, il cielo aperto accoglie coloro che ad esso salgono. Il ladrone è asceso in paradiso, i corpi dei santi hanno accesso alla città santa, i morti ritornano presso i vivi. In virtù di una specie di sviluppo della resurrezione di Cristo, tutti gli elementi son portati verso l'alto. L'inferno lascia risalire alla sommità quelli che deteneva, la terra invia verso il cielo coloro che aveva sepolto, il cielo presenta al Signore coloro che accoglie. Con un unico e medesimo movimento, la passione del Salvatore ci fa risalire dai bassifondi, ci solleva dalla terra e ci colloca nei cieli. La resurrezione di Cristo è vita per i defunti, perdono per i peccatori e gloria per i santi. Quando Davide dice che bisogna esultare e rallegrarci in questo giorno che il Signore fece (cf. Sal. 117, 24), egli esorta tutta la creazione a festeggiare la resurrezione di Cristo.
La luce di Cristo è un giorno senza notte, un giorno senza fine. Ovunque risplende, ovunque irraggia, ovunque è senza tramonto. Che cosa sia questo giorno di Cristo, ce lo dice l'Apostolo: La notte è già "inoltrata, il giorno s'avvicina (Rom. 13, 12). La notte è già inoltrata, non ritornerà più. Comprendilo: una volta apparsa la luce di Cristo, le tenebre del demonio si sono date alla fuga e l'oscurità del peccato non ritorna più; le foschie del passato sono disciolte dallo splendore eterno. Infatti il Figlio è questa stessa luce cui il giorno, suo Padre, ha comunicato l'intimo segreto della sua divinità (cf. Sal. 18, 3). Egli è la luce che ha detto per bocca di Salomone: Feci levare nel cielo una luce senza declino (Eccli. 24, 6). Come la notte non può succedere al giorno celeste, così le tenebre non possono succedere alla giustizia di Cristo. Il giorno celeste risplende, scintilla e sfolgora senza posa, e non può essere coperto da oscurità alcuna. La luce di Cristo splende, brilla e irraggia senza sosta, e non può essere coperta dalle ombre del peccato; da cui le parole dell'evangelista Giovanni: La luce risplende fra le tenebre; ma le tenebre non l'hanno ricevuta (Gv. 1, 5).
Questa è la ragione per cui, fratelli, noi tutti dobbiamo esultare in questo santo giorno. Nessuno si sottragga alla gioia comune a causa della consapevolezza dei propri peccati; nessuno si allontani dalle preghiere del popolo di Dio, a causa del peso dei propri errori. In questo giorno tanto privilegiato nessun peccatore deve perdere la speranza del perdono. perché. se il ladrone ha ricevuto la grazia del paradiso, come potrà mai il cristiano non avere quella del perdono?
Sermone 53


LA RISURREZIONE, MESSAGGIO DI GIOIA Cardinale Saliège


Arcivescovo di Tolosa dal 1928, il Cardinale Saliège, morto nel 1956 all'età di 85 anni, resta nel ricordo dei francesi quel patriota lucido che, durante la seconda guerra mondiale, preferì il dovere al compromesso. Resta nella memoria della Chiesa come il Pastore intrepido che ha saputo penetrare e comprendere fino in fondo i problemi contemporanei, dando ad essi, nella sua diocesi, risposte concrete cui ci si può ispirare ancor oggi. Forte nella prova, il corpo quasi del tutto paralizzato, resterà con dinamismo notevole la testa pensante del suo arcivescovado.

Alleluia! Il dolore umano ha un senso. Non mira a distruggere la vita; può servire, a chi lo sa accettare, a renderla più intensa e perfetta. La resurrezione è un messaggio di gioia. Alleluia! Risuoni sui cuori infranti, sulle anime prese dallo sconforto, sull'immensa e funerea teoria degl'infelici, sull'umanità intera.
Risorto! egli è risorto in verità! Donna, ripeti ancora la novella:
Da che il sol brilla sull'umanità,la terra non ne ha intesa una sì bella.
Se Cristo è risorto, noi risorgeremo con lui. La gioia della Pasqua è la gioia universale.
Dal sacrificio alla gloria; dall'abnegazione alla fecondità; dalla rinuncia all'amore, dall'amore alla vita! La nostra timidezza ci paralizza, il nostro egoismo ci svilisce. Non vi è altra via che conduce alla beatitudine, alla pienezza completa, alla Vita. E' il cammino tracciato dalla Resurrezione. I nostri sogni sono meschini: mancano d'ambizione: non portano con sé l'avvenire. Li limitiamo a delle soddisfazioni passeggere, a delle gioie effimere. Noi non viviamo, per tema di morire. Noi ci chiudiamo nel nostro guscio, perché abbiamo paura delle rinunce necessarie. Non comprendiamo la bellezza dei rischi da correre e, pur avendo la possibilità di essere degli eroi, ci accontentiamo di restare degli esseri insignificanti. L'ambiente ristretto in cui viviamo, costituisce per noi l'intero universo e, nei nostri sforzi, non andiamo al di là del nostro comune e meccanico modo di agire. Eppure noi valiamo molto di più. In ciascuno di noi vi sono i lineamenti di una statua divina, il fermento che trasforma una vita. Agisca il martello dello scultore, e la statua si sprigioni, splendida e viva. Per mezzo della morte alla vita. Ciò è vero per il tempo, ciò è vero per l'eternità. Il Salvatore non conosce uomini fatti, ma uomini da rinnovare continuamente. Ecco perché si è trasformato in fermento per ogni anima che desideri completarsi.
Alleluia! La risurrezione è un appello alla fiducia: essa è pure la garanzia della vita che non muore. Alleluia! Il cristianesimo è un inno alla vita, è la religione dei vivi.
«E io, quando sarò innalzato in croce, trarrò tutto a me» (cf. Gv. 12, 32).
O eterno Vivente, attira fra le tue braccia trepidanti di tenerezza ed al tuo cuore palpitante d'amore, gli uomini, tuoi fratelli; comunica loro questa vita divina che è ampliamento ed innalzamento della vita naturale, e si realizzi sulla terra la tua ultima preghiera prima del Calvario: Padre, io in essi e tu in me, affinché siano perfetti ne/l'unità (Gv. 17, 23).
Alleluia! Cristo è risorto, è divenuto spirito vivificante. La grazia fermenta le anime, il lievito spirituale non cessa di agire, il mondo è in marcia verso l'unità dei figli di Dio. Il Cristo risorto non muore più.
Écrits spirituels, Grasset, Parigi 1960

UNA ININTERROTTA CELEBRAZIONE DELLA PASQUA - Louis Bouyer

Da una trentina d'anni, Padre Louis Souyer (nato nel 1913), ex-pastore luterano, fattosi sacerdote dell'Oratorio, non ha cessato d'operare al servizio della Chiesa di Cristo, sia in qualità di teologo che in quella di storico. Estendendo il suo interesse a tutti i settori della ricerca cristiana, egli ha pubblicato un vasto numero di opere di grande consistenza, parecchie delle quali stimolarono l'aggiornamento liturgico e l'attività ecumenica fin dal periodo precedente il Concilio. La sua qualità più evidente è di aver cercato di mettere in luce la novità radicale dell'Evangelo, del mistero e del culto cristiani, ed al tempo stesso il loro legame intimo e profondo con la Rivelazione vetero-testamentaria. Sia nel suo insegnamento, come nei suoi scritti, Padre Souyer si ripropone di scoprire, fra le tendenze contemporanee, quelle che corrispondono maggiormente all'essenza di un cristianesimo assai esigente, di cui mette volentieri in risalto il carattere trascendente ed escatologico.

Non è sufficiente dire che le festività pasquali costituiscono il centro dell'anno ecclesiastico; esse rappresentano al tempo stesso il punto focale cui tutto converge ed il punto di origine da cui tutto deriva.
Nella sua complessità, il culto cristiano non è niente altro che una ininterrotta celebrazione della Pasqua: il sole che non smette di levarsi sulla terra, trascinando dietro di sé una scia di eucaristie che non si interrompe mai; ed ogni celebrazione della Messa non fa che prolungare la Pasqua. Ogni giorno dell'anno liturgico e, in ciascun giorno, ciascun istante della vita della Chiesa che non conosce il sonno ed il riposo, continua e rinnova questa Pasqua che il Signore aveva desiderato di consumare con i suoi, in attesa di quella che mangerà nel suo regno con loro e che si prolungherà per l'eternità. La Pasqua annuale che non smettiamo né di ricordare né di attendere, ci fa provare senza un attimo di sosta il sentimento tipico dei primi cristiani, quando esclamavano, rivolti al passato: Il Signore è veramente risorto! (Le. 24, 34), e rivolti al futuro: Vieni! Signore Gesù! vieni presto! (Apoc. 22, 20).
In ultima analisi, la religione cristiana non è per nulla una semplice dottrina; essa è un fatto, un'azione, e non
un'azione del passato, ma del presente verso cui si orienta il passato ed a cui si avvicina il futuro. In questo consiste il suo mistero, un mistero di fede, in quanto viene affermato che oggi diventa nostra l'azione che un Altro compì un tempo, ed i cui frutti in noi non vedremo se non più tardi...
Poiché Cristo è morto per noi, non tanto per dispensarci dal morire, quanto piuttosto per renderci capaci di morire efficacemente: di morire, cioè, alla vita dell'uomo vecchio per rivivere a quella dell'uomo nuovo che non perirà più.
Ecco il senso vero della Pasqua: essa ci insegna che il cristiano nella Chiesa deve morire con il Cristo per resuscitare con lui. E non solo lo insegna - come si mostrerebbe a dito qualcosa che non si tiene in proprio possesso (era ciò che faceva la Pasqua del Vecchio Testamento) - essa lo mette in pratica. La Pasqua è il Cristo che un tempo è morto e risuscitato, facendoci morire della sua morte e resuscitandoci alla sua vita. Così la Pasqua non è una semplice commemorazione; essa è la Croce ed il Sepolcro vuoto resi presenti. Ma ora non è più il Capo che deve adagiarsi sulla croce per rialzarsi dalla tomba; è il suo corpo, la Chiesa, con tutte le sue membra rappresentate da ciascuno di noi. Tutto il mistero che, come dice San Paolo, Dio aveva riservato per gli ultimi tempi, i nostri, consiste esattamente in questa morte con il Cristo ed in questa resurrezione con lui; morte e resurrezione che ci offrono la vita nascosta con Cristo in Dio, quella stessa vita che si manifesterà allorquando Cristo in persona apparirà. E' stato spesso sottolineata la straordinaria abbondanza di combinazioni con le quali San Paolo, nei suoi scritti, sfrutta la preposizione con; ed è anche stato giustamente messo in evidenza che è un aspetto caratteristico di tutta la sua concezione della vita cristiana. In effetti, per lui. vita cristiana, vita della Chiesa o vita di ciascun cristiano, è una vita con Cristo.

 Le mystère pascal, Le Cerf, Parigi 1947

sabato 19 aprile 2014

Buona Pasqua a tutti



Per chi ama Gesù, la Pasqua è molto più delle uova di cioccolata!
Oggi, Gesù ha vinto la morte. Niente può farci del male. Lui è la nostra forza.
E' il momento di ringraziare Gesù perché, in questo giorno, Lui porta la salvezza al mondo intero. Usiamo allora questa luce di Risurrezione per irradiare chi ci sta accanto ogni giorno, e continuiamo a chiederGli di far crescere in noi la fede, per diventare persone migliori e gradite a Lui.

Buona Pasqua a tutti.

La via dolorosa dal Pretorio al Calvario. Tratto da "L'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta - Libro n° 10 - Capitolo 608


26 marzo 1945.
Passa qualche tempo così, non più di una mezz'ora, forse anche meno. Poi Longino, incaricato di presiedere all'esecuzione, dà i suoi ordini. Ma prima che Gesù sia condotto fuori, nella via, per ricevere la croce e mettersi in moto, Longino, che lo ha guardato due o tre volte, con una curiosità che si tinge già di compassione e con l'occhio pratico di chi non è nuovo a certe cose, si accosta a Gesù con un soldato e gli offre un ristoro: una coppa di vino, credo. Perché mesce da una vera borraccia militare un liquido di un biondo roseo chiaro. «Ti farà bene. Devi avere sete. E fuori c'è sole. E lunga è la via».

Giovanni va a prendere la Madre. Tratto da "L'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta - Libro n° 10 - Capitolo 607


  

Ore 10,30 del Venerdì Santo 1944 (7-4-44).
Ora che il mio interno ammonitore mi dice esser quella in cui Giovanni andò da Maria.
Vedo il prediletto ancor più pallido di quando era nel cortile di Caifa insieme a Pietro. Forse perché là la luce del fuoco acceso gli dava un riflesso caldo alle guance. Ora appare scavato come da una grave malattia ed esangue. Il suo viso emerge dalla tunica lilla come quello di un annegato, tanto è di un pallore livido. Anche gli occhi sono offuscati, i capelli opachi e spettinati, la barba, spuntata in quelle ore, gli mette un velo chiaro sulle guance e il mento e le fa apparire, biondo chiara come è, ancor più pallide. Non ha più nulla del dolce, ilare Giovanni, né dell'inquieto Giovanni che poco prima, con una vampa di sdegno sul volto, a fatica si è contenuto dal malmenare Giuda.
Bussa alla porta della casa e, come se dall'interno qualcuno, timoroso di ritrovarsi di fronte Giuda, chiedesse chi è che picchia, risponde: «Sono Giovanni». L'uscio si apre ed egli entra.
Va anche lui subito nel cenacolo, non rispondendo alla padrona che gli chiede: «Ma che avviene in città?».

Dammi coraggio





Ti prego:
non togliermi i pericoli,
ma aiutami ad affrontarli.
Non calmar le mie pene,
ma aiutami a superarle.
Non darmi alleati nella lotta della vita...
eccetto la forza che mi proviene da te.
Non donarmi salvezza nella paura,
ma pazienza per conquistare la mia libertà.
Concedimi di non essere un vigliacco
usurpando la tua grazia nel successo;
ma non mi manchi la stretta della tua mano
nel mio fallimento.


Rabindranath Tagore

Disperazione e suicidio di Giuda Iscariota. Avrebbe ancora potuto salvarsi se si fosse pentito. Tratto dal "L'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta - Libro n°10 - Capitolo 605



31 marzo 1944. Venerdì di Passione, ore 2 ant.ne. Ecco la mia penosissima visione di queste prime ore del Venerdì di Passione, presentatamisi mentre facevo l'Ora di Maria Desolata, perché avevo pensato che passare la notte, che precede la Professione, in compagnia della Vergine dei Sette Dolori fosse la più bella preparazione alla Professione.
Vedo Giuda. È solo. Vestito di giallo chiaro e con un cordone rosso alla vita. Il mio interno ammonitore mi avverte che da poco è stato catturato Gesù e che Giuda, fuggito subito dopo la cattura, è ora in preda ad un contrasto di pensieri. Infatti l'Iscariota pare una belva furente e braccata da una muta di mastini. Ogni sospiro di vento fra le fronde, il frusciare che fa un qualche che per le vie, il gemito di una fontanella, lo fanno sussultare e volgersi con sospetto e terrore, come si sentisse raggiunto da un giustiziere. Gira il capo tenendolo basso, a collo tor- to, gira gli occhi come chi vuol vedere e ha paura di vedere e, se un giuoco di luna crea un'ombra dalla parvenza umana, egli sbarra gli occhi, fa un salto indietro, diventa anche più livido di quanto non sia, si arresta un istante e poi fugge a precipizio, tornando sui suoi passi, scantonando per altre viuzze, sinché un altro rumore, un altro giuoco di luce, lo fa arretrare e fuggire in altra direzione.

LA DISCESA DI GESÙ AGLI INFERI - Anonimo del IV Sec.

Le «Homélies diverses» da cui è tratto il brano seguente, figurano a torto nella Patrologia greca sotto il nome di Sant'Epifania. In numero consistente sono entrate a far parte delle letterature orientali.

Oggi un grande silenzio avvolge la terra. Un grande silenzio ed una grande calma. Un grande silenzio. perché il Re dorme. La terra ha rabbrividito e si è ammutolita, perché Dio si è addormentato nella carne, e l'inferno ha tremato. Dio si è addormentato per un istante, e ha svegliato coloro che erano negli inferi... Va alla ricerca dell'uomo come della pecorella smarrita. Vuole assolutamente visitare quei che giacciono nelle tenebre e nell'ombra di morte (Le. 1, 79). Va a liberare dalla loro prigione e dalle loro pene Adamo ed Eva, Lui che è al tempo stesso Dio e figlio di Eva... Prende per mano l'uomo e gli dice:
«Svegliati, o tu che dormi, sorgi fra i morti e Cristo t'illuminerà. (Ef. 5, 14). lo sono il tuo Dio, per te sono divenuto figlio tuo, e ho il potere di dire a te ed ai tuoi discendenti incatenati: uscite. A coloro che si trovano nelle tenebre, io dico: ecco la luce; ed a coloro che sono coricati: alzatevi. A te dico: «Svegliati, o tu che dormi», dal momento che non ti ho creato per farti restare incatenato. «Sorgi tra i morti", perché io sono la vita dei morti. Sorgi, opera delle mie mani; alzati o mia immagine, tu che sei stato creato a mia somiglianza. Sorgi, partiamocene da qui, perché tu sei in me ed io in te; noi formiamo un unico volto indivisibile.
«Per te, io che sono Dio, sono divenuto tuo figlio. Per te, io, tuo Signore, ho preso la tua forma di servo. Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono disceso sulla terra, e perfino al di sotto della terra. Per te, o uomo, sono diventato come Un uomo sfinito, che troverà scampo soltanto fra i morti (Sal. 87, 5-6; LXX). Per te che sei uscito da un giardino, sono stato consegnato ai Giudei in un giardino e crocifisso in un giardino. Guarda sul mio viso gli sputi che ho ricevuto per restituire a te il tuo primo alito. Osserva sulle mie guance gli schiaffi che ho ricevuto per creare di nuovo le tue sembianze a mia immagine. Guarda sul mio dorso i colpi di frusta con cui sono stato colpito per liberare il tuo corpo dal peso dei tuoi peccati. Osserva le mie mani inchiodate alla croce per te che tendesti la mano verso l'albero.
«Alzati. andiamocene da qui. Il nemico ti ha fatto uscire dal paradiso terrestre; io sto per introdurti non più in quel paradiso. ma in cielo. Un tempo ti vietai l'accesso all'albero della vita; ma io stesso sono la vita, ed ora a te mi unisco»,

 Omelie per il Sabato Santo

venerdì 18 aprile 2014

GESÙ PREGA PER I SUOI CARNEFICI - San Francesco di Sales




La prima parola che nostro Signore pronunziò sulla croce fu una preghiera per quelli che lo crocifiggevano: fece quello che scrive s. Paolo: Nel tempo della sua vita terrena offriva preghiere e sacrifici (Ebr. 5, 7). Certo, quelli che crocifiggevano il nostro divin Salvatore non lo conoscevano; e come avrebbero potuto conoscerlo se anche la maggior parte di quelli che assistevano alla crocifissione non capivano la sua lingua? Si trovavano infatti allora a Gerusalemme uomini di vari popoli e nazioni e tutti erano riuniti, a quanto pare, per tormentarlo. Ma neppure uno di loro lo conosceva, perché se l'avessero conosciuto non l'avrebbero crocifisso.
Il Signore dunque, vedendo l'ignoranza e la debolezza di quelli che lo torturavano, cominciò a scusarli e a offrire per loro il suo sacrificio al Padre celeste: la preghiera infatti è un sacrificio. Sacrificio delle labbra e del cuore che presentiamo a Dio sia per noi che per il prossimo; e il Signore appunto s'e ne servì dicendo al Padre suo: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno (Le. 23,34). Veramente grande era l'ardore di carità che infiammava il cuore del nostro dolce Salvatore! Egli, nel momento in cui soffriva tanto che la violenza dei tormenti sembrava avergli tolto la possibilità di pregare per sé, per la forza del suo amore dimenticò se stesso, ma non le sue creature. Gridò quindi, con voce forte e intellegibile:
Padre mio, perdonali.
Voleva farci capire così quanto ci amava, poiché non c'era sofferenza che potesse attenuare questo amore e voleva anche ,che imparassimo quale dev'essere la disposizione del nostro cuore riguardo al prossimo.
E com'era grande, Dio mio, l'ardore di quella sua carità e la potenza della sua preghiera! Certamente le preghiere di nostro Signore erano così efficaci e meritorie che nulla poteva essergli rifiutato. Perciò fu esaudito, come dice il grande apostolo, a causa dell'amore che il Padre aveva per lui. E' vero che il Padre aveva una grande venerazione per questo Figlio, che come Dio è uguale a lui e allo Spirito Santo, poiché ha con lui una stessa sostanza, sapienza e potenza, una bontà e immensità senza limiti: perciò, considerandolo come il suo Verbo, il Padre non poteva rifiutargli nulla. Ora, poiché questo divino Signore si preoccupò di chiedergli perdono per gli uomini, è certo che la sua domanda fu esaudita, perché il suo divin Padre l'onorava troppo per negargli qualcosa di quel che lui chiedeva.